Archivio dell'autore: Renata Discacciati

Antonella e un mare di libertà, un mural a San Vittore

Intervista a Antonella, maestra d’arte a San Vittore, che ha contribuito alla realizzazione di un mural nel carcere.

Come nasce l’idea di effettuare un laboratorio d’arte proprio nella sezione femminile di San Vittore?Mi ricordo che Licia (ndr) mi aveva detto che c’era un gruppo di donne che voleva fare dei bigliettini d’auguri per bambini. Così ho pensato di dare la mia disponibilità, non per bigliettini, ma per realizzare qualcosa di artistico.

Cosa provi e cosa hai provato a lavorare con le ragazze di San Vittore?
Un misto di emozioni e sensazioni forti. Dal punto di vista della conduzione del laboratorio, ho avuto la grossa difficoltà di dover cambiare il modo di lavoro: ero abituata ad avere una classe, qui mi sono dovuta scontrare con la mancanza di continuità, perché ci sono alcune donne che restano, altre che invece sono di passaggio, quindi è difficile pensare a dei progetti a lunga scadenza. Questo mi ha costretto a pensare a progetti su misura per chi rimane anche per una sola lezione. Dal punto di vista psicologico è pesante, perché tendo ad affezionarmi alle persone, e non vorrei mai scartare il lavoro di nessuna, o che qualcuna perdesse il materiale, per evitare situazioni spiacevoli. Ogni tanto il dolore di qualcuna di loro è forte, soprattutto diventa difficile quando si tratta di storie mediatiche, che ogni giorno sono sui giornali; in questa situazione mi sono dovuta abituare a fare il clown; in generale le mie emozioni dipendono dai giorni, a volte sono allegra e contenta, e a volte no. Ad esempio una volta ho inventato “la sedia del pianto”, dove a turno le ragazze che avevano voglia di piangere si sedevano.

Recentemente nella zona d’aria del femminile è stato realizzato un mural, come è nata questa idea, e quali sono state le diverse fasi di lavorazione?
Esisteva già un mural, realizzato insieme ad un’artista cileno, progetto che tra l’altro è stato oneroso per il sindacato. L’educatrice del carcere mi ha detto che c’era la possibilità di avere un piccolo fondo, che a me è sembrato altissimo, per realizzare un altro mural. Ho subito accettato, e con molto entusiasmo. Ho ordinato tutto il materiale occorrente, e con le ragazze abbiamo pensato che lo sfondo ideale poteva essere il mare. In particolare l’idea è partita da una ragazza di nome Roxana, che in risposta alla mia domanda “ Cosa vi piacerebbe vedere quaggiù?”, ha suggerito il mare.

E riguardo al titolo un mare di libertà?
Erano state fatte diverse ipotesi, di cui tutte non le ricordo, ma mi ha colpito “Il mare non ha confini”, espressione che mi ha fatto riflettere molto, perché comunque le terre ad un certo punto finiscono, il mare invece no, e da proprio l’idea di libertà. Poi però è stata l’idea di Martina ha avere più consenso.

Il concetto di realizzare un mural ha qualche connessione con altri movimenti artistici e culturali, anche di altri paesi stranieri?
Assolutamente si, ha una connessione importante con il Cile, dove c’è stata un’importante esperienza di Carrasco, un artista che quando c’è stato il colpo di stato si è rifugiato nell’ambasciata italiana. Era il 1973, e per quelli della mia generazione, con le mie idee, quell’episodio è stato molto significativo. Un po’ la mia attenzione è per questo popolo che ha sofferto molto, e un po’ per questo artista che ha portato in Italia la sua corrente. Da una parte quindi c’è l’esperienza cilena del mural, che serviva a comunicare con chi non sapeva ne leggere ne scrivere, e dall’altra parte l’esperienza messicana con Riviera e Sorosco

Quali sono state le emozioni delle ragazze che hanno partecipato a questo progetto ?
Dovrebbero dirlo le ragazze!. Durante il lavoro comunque ognuna di loro ha messo le proprie abitudini, ma comunque c’è stata tanta collaborazione e lavoro. Nelle varie fasi c’è stato tanto impegno e serietà, e anche qualche battibecco, anzi più batti che becco, perché ovviamente chi sa fare bene, vorrebbe che tutto andasse alla perfezione. Invece il mio pensiero è che ognuna debba poter fare il proprio pezzettino e se non viene un capolavoro pace e amen. Tutto è stato ripagato al momento dell’inaugurazione con tantissima emozione.

Il mural è stato presentato in grande stile, con pubblico e giornalisti, come hanno reagito le ragazze all’idea che il loro lavoro uscisse dalle mura del carcere?
Questo davvero bisognerebbe chiederlo alle ragazze: io ho percepito soprattutto dalle amiche giornaliste presenti tanta emozione, commozione, attenzione e solidarietà e tantissimi ringraziamenti. L’idea di essere entrate e aver parlato con le ragazze è stata una bellissima esperienza, in particolare Clara e Monia (ndr) hanno scritto un bellissimo pezzo sottolineando il fatto che spesso si trovano a passare davanti al carcere, ma che questa volta hanno avuto la possibilità di entrare. Hanno partecipato anche giornalisti che hanno assistito all’inaugurazione del primo mural con Carrasco e sono rimasti molto colpiti.

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Tempo d’attesa…

Questo articolo è tratto dal “Oltre gli Occhi“,  il giornale del reparto femminile di San Vittore arrivato al suo terzo numero, dove le detenute si raccontano, parlano di sé, delle loro speranze, del loro presente, del loro “futuro”.  Renata Discacciati è la coordinatrice editoriale del progetto e Simona Salta, la direttrice responsabile.

Tempo d’attesa di Stefania
Attendere, aspettare, qualcosa di normale che fa parte dei gesti quotidiani di una vita normale. A volte è una cosa che fa piacere, come quando da piccoli si aspetta con ansia il momento di scartare i regali, da adolescenti quando si aspetta il primo bacio, o i tanto attesi 18 anni; a volte è noiosa, come il fare le file interminabili in posta o in banca.
Beh, il carcere, e il sistema giudiziario sono l’emblema dell’attesa, e chi ci finisce in mezzo, deve armarsi di tanta, tantissima pazienza.
Quando si è fuori l’attesa può essere “gestita” in qualche modo, ingannando il tempo ascoltando musica, facendo qualche telefonata, insomma qualcosa che ti distragga il tempo sufficiente dell’attesa; anche in carcere funziona così, ma c’è una differenza enorme, e cioè che qui dentro l’attesa è infinita, quindi cerchi di fare qualunque cosa per far passare il tempo.

La settimana scorsa sono stata in tribunale per un’udienza, l’attesa era infinita più di un intera giornata in carcere, passeggiavo avanti e indietro studiando ogni centimetro del fellone del tribunale, ogni rumore, ogni parola detta dagli agenti di polizia penitenziaria riecheggiava intorno a me; sembra la parte peggiore, ma è niente in confronto al tipo di attesa che sto provando in questi giorni.

Attendo da ormai più di sei giorni una risposta dal tribunale che sembra non volere arrivare, passo le giornate cercando di fare qualunque cosa per occupare il tempo e non pensare, ma intanto quando suona il telefono sulla scrivania degli agenti, o sento urlare il mio cognome, per un istante il mio cuore si ferma. Attendo con ansia che qualcuno decida della mia vita, e non c’è niente di più brutto che aspettare qualcosa che non sai, può essere una risposta positiva o negativa, e non puoi far altro che aspettare.
Pagherei qualunque cifra in questo momento per tornare a provare quell’attesa quotidiana di cui mi sono sempre lamentata, perché almeno non dovevo attendere che le giornate finissero per poter dire a me stessa: “ok, un altro giorno è finito, un giorno in meno che ti separa dalla libertà”.

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Il linguaggio del corpo

di Loredana

 Prima di parlare in specifico di che cosa è il linguaggio del corpo dobbiamo porci questa domanda: “cosa siamo noi “?

Un grande filosofo Friedrich Nietzesche dice: “… Solo come un animale sociale l’uomo impara ad essere cosciente di se stesso….”

L’essere umano parla scrive, ma usa anche una forma primitiva: “il linguaggio del corpo”.

Possiamo prendere in considerazione i Mimi che sono delle persone che rimanendo mute hanno come unico strumento di comunicazione il corpo.

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Ma come facciamo a capire e a imparare questo tipo di linguaggio?

Beh non serve è già dentro di noi.

Le prime forme di vita capaci di comunicare non utilizzano il linguaggio verbale, ma esprimono le loro sensazioni, emozioni e necessità con gesti.

Il nostro corpo funge da biglietto da visita, è un mezzo di comunicazione e socializzazione. Molte volte nel rapporto con gli altri si è spesso giudicati dalle apparenze, dal comportamento. Il corpo diventa facilmente bersaglio di frustrazioni e insoddisfazioni derivanti dal conflitto tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere.

Per questo dobbiamo comprendere che stare bene nel proprio corpo aiuta anche a relazionarci bene con gli altri.

 

 

Vengo anch’io? Sì, tu sì

di Francesca

Il 1° maggio, a Milano, ho partecipato all’inaugurazione di EXPO 2015. Sì, anch’io, anche se sono reclusa in carcere. Come ho fatto? Grazie alla direttrice Gloria Manzelli, che ha organizzato una giornata splendida all’interno di San Vittore, nel corridoio del primo raggio che conduce alla rotonda, sono stati allestiti degli spazi dove anche altre realtà carcerarie hanno potuto esporre quello che producono all’interno delle istituzioni: erano presenti le carceri di Bollate, Brescia, Torino, Opera, Venezia, ecc, ma soprattutto San Vittore con i nostri due fiori all’occhiello: La Libera Scuola di Cucina e la Sartoria della Cooperative Alice.

 

Faccio parte anch’io del corso “Libera Scuola di Cucina”e sono stata chiamata a distribuire il buffet alle persone che dall’esterno si erano prenotate: avevamo preparato un aperitivo, biscotti e dissetanti limonate. Alle ore 15.30, gli ospiti hanno cominciato ad arrivare, sono stati condotti al primo raggio e il primo banchetto che hanno visto era il nostro, pronto ad accoglierli con bicchierini di panna cotta aromatizzata al caffè, all’amarena e al cioccolato, a seguire bicchieri di acqua fresca. Gli ospiti hanno potuto così visitare tutti gli spazi espositivi, assaggiare prodotti culinari e ammirare i manufatti creati dai carcerati con l’aiuto delle varie cooperative che organizzano corsi formativi. San Vittore, appunto, con la Scuola di Cucina e la Cooperativa Alice ha mostrato ciò di cui, noi ragazze siamo capaci, tutto il buffet è stato preparato nella cucina della sezione femminile.

 

Ero presente dalle 14, vestita con un grazioso grembiule verde e nero e cappello da cuoco in tinta, ho allestito lo spazio assegnatoci e ho servito le nostre prelibatezze spiegando i vari ingredienti che li componevano. La nostra panna cotta ha ottenuto un gran successo, gli invitati hanno ripetuto l’assaggio parecchie volte. Verso le 17.00 abbiamo servito l’aperitivo alle persone invitate a seguire la proiezione in diretta dalla Scala della Turandot. Il nostro tavolo si è riempito di pizzette e bicchierini salati per tutti i gusti: salmone con salsa di yogurt, erba cipollina, crema di porro con cipolle caramellate, polpettine con sugo di pomodoro, farro con verdure, pollo al curry… tutto era gustosissimo, prelibato e ha riscosso un gran successo.

 

Poi gli invitati hanno preso posto nella rotonda per seguire la diretta della Turandot. Al primo intervallo, abbiamo servito uno squisito risotto con verdure accompagnato da vino rosso e bianco fermo originario della Toscana, con le mie compagne abbiamo ascoltato compiaciute i complimenti che ci venivano fatti.

 

Finito l’intervallo, gli ospiti si sono accomodati ai loro posti e noi abbiamo predisposto il dessert: biscotti favolosi di pastafrolla e pasta di mandorle seguiti da limonata e acqua fresca: inutile ribadire il gran successo.

 

Quindi anch’io, a buona ragione, posso dire e urlare che ho partecipato all’inaugurazione dell’EXPO 2015. È stata una giornata ricca e intensa e io sono davvero molto felice di essere stata scelta per partecipare al corso della Scuola di Cucina che mi ha dato la possibilità di imparare e cucinare e a servire i nostri ospiti. Ringrazio quindi il Carcere di San Vittore per questa possibilità e condivido con tutti voi la mia felicità. Grazie 

Gli odori del carcere

di Martina

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Al mattino

l’odore del caffè della “vicina”.

All’ora del pranzo

l’odore del cibo sul carrello del vitto…

…pasta, patate, carne, carne, patate e pasta.

Al pomeriggio

l’odore delle sigarette che invade l’aria.

All’ora della cena

l’odore del cibo sul carrello del vitto…

…pastina, patate, carne, carne, patate e pastina

Alla sera

L’odore del calore del proprio letto.

Per tutto il giorno

L’odore di corpi di tutte le etnie.

Il mio, il tuo e anche il suo

Uniti e disuniti nello stesso carcere,

accomunati dallo stesso identico destino

e condannati agli stessi orari

gli stessi luoghi

gli stessi odori.

HAPPY HOUR?

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Lo splendido giardino della sezione femminile della Casa Circondariale di San Vittore accoglie i visitatori che vogliano visitare l’Istituto e gustare gli ottimi aperitivi preparati dalla Libera Scuola di Cucina: un’opportunità per condividere uno spazio di realtà milanese tenuto per troppo tempo nascosto.

Per chi vorrà intervenire ogni aperitivo sarà una speciale occasione per incontrare, con l’accompagnamento e la guida di persone detenute, il “cuore pulsante” dell’Istituto di San Vittore: la rotonda che, nella struttura panottica è il luogo di incrocio e diramazione dei sei raggi che la compongono.

Gli aperitivi si terranno (anche in caso di maltempo) alle ore 19,30

presso la Casa Circondariale di Milano – San Vittore, nelle date di seguito indicate:

MERCOLEDI’ 18 GIUGNO

MERCOLEDI’ 9 LUGLIO

MERCOLEDI’ 16 LUGLIO

GIOVEDI’ 28 AGOSTO

GIOVEDI’ 4 SETTEMBRE

GIOVEDI’ 18 SETTEMBRE

GIOVEDI’ 25 SETTEMBRE

Il progetto della Libera scuola si mantiene sul principio dell’auto finanziamento, si chiede pertanto di contribuire al sostegno della scuola effettuando una donazione (per gli eventi didattici indicati di minimo 20 euro). Tale donazione verrà certificata opportunamente e sarà pertanto deducibile a fini fiscali. Le donazioni, oltre a coprire i costi dei materiali didattici e di indennità di partecipazione delle donne coinvolte, sono destinate a generare un fondo di responsabilità sociale, il cui utilizzo sarà reinvestito in attività formative a favore di persone detenute nella C.C. di Milano San Vittore.

 Modalità di partecipazione:

Chi fosse interessato è tenuto ad inviare la scheda di iscrizione allegata, con un anticipo di due settimane dalla data prescelta, ai seguenti indirizzi:

educatori.cc.milano@giustizia.it  e  liberascuoladicucina@aei.coop

Scheda di iscrizione eventi didattici

Per la donazione si chiede di effettuare un bonifico sul conto BANCA PROSSIMA, intestato a Factory scs onlus, denominato “Libera scuola di cucina”: IT 09C0335901600100000074450

Nella causale di versamento si chiede di indicare donazione libera scuola di cucina – evento didattico del …

Alla mail di iscrizione si chiede di allegare copia del documento di identità per le opportune autorizzazioni di ingresso nell’Istituto e la copia del bonifico effettuato per la donazione.

 

Oltre gli occhi

 

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Il giorno 15 dicembre, presso la sede della Provincia di Milano, verrà presentato «Oltre gli occhi» il bimestrale del reparto femminile di San Vittore.

Le detenute si raccontano, parlano delle loro emozioni, delle loro paure, delle loro speranze in modo semplice e diretto, cercando di instaurare un colloquio a distanza con il mondo esterno. Non solo sensazioni dolorose però, perché durante la loro detenzione hanno imparato anche a sorridere di loro stesse e delle situazioni che devono affrontare. Un pizzico di humour salva la vita.

Su Quartieri Tranquilli saremo presenti Nell’ambito del quartiere San Vittore, con gli articoli delle detenute, le comunicazioni degli eventi che si tengono dentro la struttura. Insomma, saremo sempre le voci da San Vittore.

Si accende San Vittore

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Un boato di gioia invase il Panottico di San Vittore interrompendo la magia del concerto d’arpa: la squadra italiana aveva segnato un goal ai campionati Europei di calcio del 2012 e i detenuti così salutavano la vittoria dell’Italia sull’Irlanda per due a zero.

Era la prima volta che entravo in un carcere ed ero emozionata, nervosa e spaventata per quello che mi aspettava e che non riuscivo a prevedere.  Ma come? Avevo sempre ritenuto che l’incontro con culture, persone, tradizioni diverse fosse indispensabile per capire il mondo che ci circonda.

Fu probabilmente l’emozione della musica a placare le mie paure, oppure la cena che seguì nel giardino addobbato a festa in una tiepida sera di giugno, un’ottima cena preparata dalle detenute, i visi allegri delle donne di provenienze e accenti diversi, la sensazione di calma serena che si respirava a farmi riflettere, a cercare di capire, di conoscere.

E decisi che volevo indagare quella realtà differente, quelle persone costrette, per un motivo o per un altro, in carcere. Questo bisogno prese forma quando, qualche tempo dopo, chiesi un colloquio alla direttrice di San Vittore e le parlai della mia intenzione di raccontare storie di donne in carcere, non solo le detenute, ma anche le volontarie, le educatrice e le agenti di custodia. Mi ricordo che le parlai di una storia legata all’altra come un albero con tanti rami, ogni ramo un’esperienza, ogni ramo una narrazione.

Mai come in questo tempo, si parla delle pessime condizioni carcerarie, si invoca l’indulto, ci si è resi conto che la detenzione non deve essere punizione, ma “terapia” al reintegro nella società.

Per questo ritengo che l’ingresso del quartiere di San Vittore nella rete quartieritranquilli sia un passo dovuto, dare voce e speranza a loro che faticano giorno dopo giorno, aprire le carceri alle persone migliori della nostra città e creare un legame dentro/fuori di comprensione e di possibilità di futuro.

E chiudo questa mia breve dichiarazione di intenti con un’immagine: un mattino freddo di gennaio, seguo con costanza i corsi tenuti dalle volontarie, nella biblioteca della sezione femminile di San Vittore, i preparativi per l’incontro di condivisione che sarebbe presto cominciato e due tavolini imbanditi, torte, bibite, piatti e tovagliolini, ma perché? cosa si festeggia? La risposta non ammette replica ed è sincera: “Non si festeggia niente, l’ho fatto per voi e per me.”, dice Cinzia, detenuta.