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Il Festival della Mente di Sarzana, primo festival europeo dedicato alla creatività, progettato e diretto da Giulia Cogoli, giunge tra il 2 e il 4 settembre al numero 8. In Asia è il numero fortunato come può confermare Gian Carlo Calza, storico dell’arte dell’Asia e tra i protagonisti del Festival .
E che sarà un wekend fortunato per gli oltre 40 mila appassionati e habituée lo si vede dagli 82 appuntamenti in programma. In cartellone tra piazza Matteotti , Fortezza Firmafede e Teatro degli Impavidi : scienziati (Edoardo Boncinelli), storici (Alessandro Barbero), filosofi (Franca D’Agostini, Luce Irigaray, Salvatore Veca), demografi (Gianpiero Dalla Zuanna), scrittori (Almudena Grandes, Alberto Manguel), designer (Enzo Mari,), matematici (Ennio Peres), sociologi (Chiara Saraceno, Zygmunt Bauman), artisti (Giuseppe Penone)…
Tra gli spettacoli, “Italy”, p&œlig;sia e musica sull’Italia delle migrazioni di Giuseppe Battiston e Gianmaria Testa, l’anteprima di “Diderot, Rameau e altri paradossi,” di Silvio Orlando, il recital di Sonia Bergamasco e Fabrizio Gifuni sull’amicizia tra Attilio Bertolucci e Pier Paolo Pasolini e lo spettacolo-concerto con e di Pippo Delbono.
Il Festival veste Giulia. Abbronzata e tonica, sbarcata dopo una rilassante navigazione nei mari di Corsica e Sardegna, Giulia Cogoli, veronese, si appresta a risalire sul podio del più sorprendente (ed economicamente attivo) evento culturale dell’estate italiana: il Festival della Mente di Sarzana. E’ lei l’anima elegante e infaticabile della prima manifestazione dedicata alla creatività. Pugno di ferro e guanto di pashmina, sorriso dolce e tempra d’acciaio, Giulia interpreta con agilità e acume il ruolo di nuovo modello di donna al potere. Protagonista di un’avventura che nella cittadina della Lunigiana coinvolge scrittori, filosofi e scienziati, economisti e storici, attori e registi, musicisti e artisti, editori e giornalisti, Da tre anni è partita inoltre una nuova sfida di lady Giulia: “Dialoghi sull’uomo, primo festival di antropologia contemporanea" di Pistoia.
E ora chi glielo dice a Umberto Bossi che anche a Benevento e persino sul Gargano scorre da secoli puro sangue longobardo lo stesso delle sue valli nel Varesotto?
È questo il ritornello che è rimbalzato nel foyer appena restaurato del teatro Caio Melisso Spazio Carla Fendi nella piazza del Duomo di Spoleto, durante il primo weekend del Festival dei Due Mondi, subito dopo l’annuncio dato dal sindaco che ben due località spoletine, Il tempietto di Campello sul Clitunnio e la basilica di San Salvatore sono appena stati dichiarati Patrimonio mondiale dell’Umanità dall’Unesco, in quanto tappe della storica Via Langobardorum che da Cividale del Friuli arrivava fino alla Campania e alla Puglia.
Ma i sorrisi quest’anno a Spoleto si sprecano. La sensazione (a parte i fastidi per le tardive performance dadaiste di Vittorio Sgarbi e Marina Ripa di Meana) è che il Festival creato da Giancarlo Menotti 54 anni stia ritornando agli antichi splendori che fino a qualche lustro fa lo assimilavano ad Avignone e Edinburgo.
Grandi presenze, da Luca Ronconi a Marco Baliani, da Roberto Andò a Monica Guerritore a Jeanne Moreau, mostre e omaggi ai grandi del passato (da Luchino Visconti allo stesso Menotti) ma finalmente si è visto il ritorno dei giovani che avevano un po’ trascurato questa manifestazione.
A portare aria nuova a Spoleto, sotto l’occhio attento di Marina Mahler nel ruolo di generosa mecenate, piccole compagnie creative internazionali , gli attori di Cricot-2 del mitico Tadeusz Kantor, gli allievi della compagnia teatrale newyorkese La Mama Theatre, fondata da Ellen Stewart e ribattezzata La Mama Spoleto Open.
Si può assistere alle performance multi mediali nella chiesa sconsacrata di San Simone, ai workshop di danza della coreografa newyorkese Maureen Fleeming, alle mostre del social network MyfreeArt negli spazi di via Oberdan, nella piazzetta dell’Erba o a alle esibizioni negli appartamenti – atelier di via Salara Vecchia come From Dakar to Spoleto del senegalese Tita Mbaye, curata da Marco Luciano Ragno.
E la sera nello spazio Rosso Bastardo proprio sotto la storica rocca trecentesca disegnata da Albornoz, che ospitò papi e anche Lucrezia Borgia, su un palco all’aperto si danno il cambio fino alle ore piccole, sorprendenti promesse del pianoforte, del violoncello, del cabaret, mentre dalla cucina escono a getto continuo focaccia al forno a legna, dolci home made e una insuperabile pappa al pomodoro doc, firmate da Irene e da Rita, rispettivamente manager finanziaria e design di interni in libera uscita.
Il tema, “il corpo che siamo” era al tempo stesso difficile e di grande attualità: nessuna cultura al mondo accetta il corpo così com’è: in ogni p&ælig;se il corpo viene disegnato, inciso, scolpito, tatuato, modellato. I motivi sono i più vari: cultura, moda, arte, patologia… Come se ovunque l’uomo volesse stabilire il suo distacco dalla natura e utilizzando il corpo come una pagina bianca , e ogni società volesse scriverci sopra il proprio marchio, la propria storia e in fondo la propria identità.
Ebbene la seconda edizione del festival di antropologia del contemporanea, appena conclusa a Pistoia, I dialoghi sull’uomo ideato e diretto da Giulia Cogoli è stato un clamoroso successo di spettatori- ascoltatori che ha superato i già notevoli numeri dell’anno scorso. Dalle 9 mila presenze si è passati alle 11 mila persone che nei giorni scorsi hanno invaso le piazze e le sale del centro storico della città toscana, provocando il tutto esaurito per le conferenze di sociologi, antropologi, filosofi, scienziati stranieri e italiani come Umberto Galimberti, o le letture dell’attore Toni Servillo dei passi di Tristi Tropici di Claude Levi-Strauss. I visitatori italiani e stranieri ne hanno approfittato per scoprire una piccola perla ancora poco conosciuta se non per i suoi vivai , come meta turistica pure a pochi km da Firenze: il duomo con le ceramiche di della Robbia, il battistero, il museo del concittatino Marino Marini, le piazze medievali di Santo Spirito del Duomo con panoramici caffè e tavolini all’aperto come Michi, il mercatino delle erbe, empori d’epoca, intatte botteghe tra vicolo dei Fuggiti e via Abbi Pazienza, bar e trattorie familiari che servono piatti locali come la zuppetta di cereali Vecchia Pistoia e alberghetti d’antan come Al Leon Bianco. Insomma una meta ideale per un weekend slow che coniuga cultura relax e buon gusto.