Inaugurato all’Ospedale Buzzi il n…
È avvenuta questa mattina la cerimonia di consegna dell’ecografo di …
Ciao, sto male
stare male, stare bene … un punto di vista
ma stare male lo capisce solo chi sta male come te
il cielo è azzurro, il sole è giallo, il fuoco è rosso, la natura è verde.
La luna? La luna è bella! È bella, ma da lontano
e da vicino, com’è?
È brutta pero è natura
ma il buio che colore ha? come è fatto? è scuro?
Sì quello scuro che fa accecare se rimani a lungo.
Perché rimanere a lungo dove non ti piace stare,
e dove sta il sole, tu lo vedi?
Perché mi fai questa domanda?
Sai se con il sole si sta bene!
Si può essere rinchiusi, murati
Ma nulla può fermare l’anima mia che vola libera
Portando i miei desideri più reconditi che sono dentro di me
È una danza
È yoga e ritmica
È amore e soprattutto libertà
Vita mia sorridi e continua
Grazie
Mi inchino davanti allo splendore che essa mi ha donato ed io mi sento, nel profondo, libera.
Odio il colore di questi letti maledetti, scomodi da impazzire, le pareti che fanno schifo, mi sento in un inferno immenso, senza fine, sento un diavolo dentro di me, non sono più me stessa, sto impazzendo, mi sento strana, non ce la faccio più, queste sbarre mi hanno ucciso l’anima.
L’anticamera del mio cervello non esiste più, prima ci camminavo dentro, adesso non riesco, questa misura immensa non mi fa più respirare, soffoco e non vedo l’ora della terapia, che mi fa crollare e dimenticare per un attimo il dolore che provo in questo povero cuore … spezzato e tradito. Mi sento un po’ come un personaggio delle Metamorfosi dello scrittore cecoslovacco Franz Kafka, che bene ha espresso il senso di smarrimento e di angoscia di fronte all’esistenza.
Prima parlavo con me stessa, ora ho solo silenzio e vuoto.
Dalia Violeta, equadoriana, Chanel, dominicana, Nadia peruviana e io uruguayana. Oggi, domenica mattina, ci troviamo tutte e quattro all’aria della sezione penale e approfittiamo per fare colazione senza fretta, senza orari, Chanel non è iscritta al corso di giornalismo, ma è parte della nostra quotidianità, perciò questo articolo lo abbiamo pensato insieme.
Chanel è un tipo solare e già dalla mattina presto ci fa ridere, lei con il suo accento e il suo dialetto molto personale. Nadia è molto simpatica, ma ultimamente è un po’ triste, ritiene di essere l’unica ad avere problemi, e qualche volta ci viene voglia di ammazzarla, però sa anche farsi voler bene. Dalia (Violeta come si firma sul giornale) è una donna molto riservata, chiusa, con lei si può parlare di tutto e quello che più mi piace di lei è la calma e la pazienza che ha nei confronti delle altre persone, così diversa da me che sono così schietta da rasentare l’impertinenza. Non ho mai problemi a dire in faccia quello che penso, non so se è un pregio o un difetto, visto che alla gente per lo più non piace sentirsi dire la verità.
Non siamo un vero e proprio gruppo, diciamo che le circostanze ci hanno portato a stare con le persone che più ci somigliano. Con Dalia parliamo dei suoi studi, io la ammiro perché qui è molto difficile studiare, non sappiamo cosa sia la privacy, che pure è necessaria se ti vuoi concentrare. Non crediate che lei sia sempre bellissima e bravissima, di sicuro è la più calma fra tutte noi. Chanel, invece, è un vero terremoto, o, come dice lei, una tigre. Un giorno ci ha raccontato che il dottore l’ha chiamata per avvisarla che il giorno seguente sarebbe dovuta andare in ospedale a fare la “gastronomia” (gastroscopia), oppure che, non potendo dormire chiamava l’infermiera per farsi dare 20 gocce di “osama” (xanax) e noi giù a ridere, poi arriva Dana che le aveva promesso di tagliarle i capelli come le ha insegnato la parrucchiera Dina: il taglio della salute, che consiste nel togliere le doppie punte e richiede un sacco di tempo. Dopo un po’ Dana deve assentarsi per andare a consegnare il vitto e le dice di aspettarla dieci minuti, di non muoversi, perché non ha finito. “Chanel, dove sei andata?” “Sono sempre qui, non mi sono “morsa” per niente.” A furia di ridere rischiavamo di farci la pipì addosso.
Mi chiama tira piedra (butta sassi) perché così viene chiamato nel suo paese un bambino tremendo. Chanel però è grande, sempre disposta ad aiutare le persone che hanno bisogno, è molto attiva e si fa volere bene da tutte. Nadia è una grande bambina non cresciuta. Ci racconta molte cose della sua vita, di sua nonna, che tutti i giorni combina qualche guaio, della sua mamma adorata, dei suoi fratelli e di sua zia che le sta sempre vicino. Ha incominciato un percorso lavorativo nella sartoria e sta andando proprio bene, brava Nadia, continua così che ti servirà per il tuo futuro. Sto conoscendo Dalia giorno dopo giorno, e mi rendo conto che sei una ragazza molto sensibile e di volerti bene.
Questo è lo scopo di questo articolo, care Chanel, Dalia, Nadia, quello che non riesco a dirvi con le parole, lo voglio dire con la mia penna.
Dio, quando ci ha creato, ha lasciato un Suo frammento in noi esseri umani. Ci ha donato una delle Sue prerogative più potenti, la grande forza dell’immaginazione: pensare una cosa e renderla possibile; è quello che ha fatto anche Lui.
Ha pensato l’uomo e l’ha creato
Ha pensato il sole e l’ha creato
Noi donne, ciascuna di noi, in questo luogo,
Pensa a quanta sofferenza e dolore, e quanta mancanza
Di quell’affetto che sente e che prova per i suoi figli…
Pensa alla sua libertà
Pensa a un futuro migliore
Pensa a una vita felice
Pensa di potercela fare e superare questa dura prova
Pensa di poter amare e essere amata
Pensa a come e quando e se avverrà !!!…
Un grande abbraccio con tanto affetto a voi
da una donna come tante
Dopo molti anni passati dentro il carcere – 19 per l’esattezza – mi ritrovo a dover varcare ancora la porta d’ingresso. La prima sensazione è stata capire se stavo entrando o uscendo da quel mondo che per tanti anni avevo atteso… Il problema, dopo tutto quel tempo, è che non sai più a quale realtà appartieni; il carcere è una vita differente da quella che ti saresti aspettata, ma comunque è vita. Quando esci i problemi sono moltissimi: ti senti inadeguata e senza una collocazione sociale, che ti eri invece creata all’interno dell’istituto di pena. È difficile ricominciare e, quando dopo otto mesi, forse, cominci farcela…ti ritrovi a rientrare. È ancora più dura! Eh già! Di nuovo in quel mondo parallelo deresponsabilizzato e con la sensazione di un fallimento molto più grande. Credevi di non doverci tornare. Ma le cose non vanno quasi mai come ci aspettiamo, soprattutto se facciamo in modo di creare i presupposti per sbagliare di nuovo – poco o tanto che sia. Quindi, di nuovo qui, dentro o fuori da quel cancello che separa due diverse forme di vita , seppur entrambe, secondo me, prive di libertà effettiva. La libertà è soggettiva, interiore, non è un cancello che ci rende liberi, ma la forza di liberarci dai condizionamenti. Detto ciò, anch’io soffro per il ritorno in carcere, ma, realisticamente parlando, avrei potuto evitarlo se solo avessi resistito ancora un po’ nell’onestà; niente succede per caso, secondo me, e sono sicura che avevo di nuovo bisogno di varcare quel cancello per scegliere, definitivamente, da che parte avrei voluto vivere. I fallimenti servono per crescere e rialzarsi e anche per conoscere a fondo i tuoi limiti.
Ciao, sono Mirna, qui in malattia, per questo ho abbastanza tempo per scrivere. Quelli che mi hanno letto sanno che dovevo fare un piccolo intervento, come vedete, tutto è andato bene, dato che sono qui a raccontarlo. Come tutto nella vita, anche le cose semplici si possono complicare, questa volta no, ma, vi assicuro che ho avuto una grande fifa.
Voglio raccontarvi come è andata quella mattina che dovevo andare in ospedale. Alle sei e mezza sono seduta su una panchina di Piazza Filangieri ad aspettare Luisa, la Presidente della Cooperativa Alice, dove lavoro all’esterno di San Vittore in articolo 21, e dove godo anche di permessi premio. E quella mattina Luisa mi doveva accompagnare in ospedale, dopo poco meno di dieci minuti arriva al volante di una smart, io ero carica di un borsone che conteneva più o meno tutto quello che mi doveva servire a passare una settimana in ospedale. Primo intoppo: non riusciamo ad aprire il bagagliaio, per non perdere tempo, rinunciamo e buttiamo il borsone dietro il sedile. Prima di andare in ospedale dovevamo passare dalla cooperativa dove Luisa doveva ritirare qualcosa. Ci fermiamo, tentiamo di togliere la chiave, niente, non esce. Cosa fare? Solo dopo numerosi tentativi abbiamo capito che dovevamo togliere la marcia. Bene, andiamo rapidamente in cooperativa e in fretta torniamo all’automobile; la fretta non è la migliore consigliera, la marcia indietro non entra e noi? Scendiamo e, a mano, spostiamo la macchina fino ad arrivare a uno spazio sufficiente a farci ripartire a marcia in avanti, meno male che era una smart, altrimenti…
Il risultato di tutto questo è stato che ridevamo come due matte, la giornata era cominciata bene e mi aveva fatto dimenticare che non avevo fatto colazione, mi ero alzata prima dell’alba, andavo in ospedale senza la mia famiglia, insomma la tensione si era un po’ allentata.
Alla fine arriviamo a destinazione, parcheggiamo nel posteggio e, quando chiudiamo le porte, clic, ecco che si apre il bagagliaio; ci avviamo continuando a ridere e io le dico che se qualcuno ci avesse seguito durante il percorso avrebbe potuto pensare che fossimo parenti dei Flintstones, tanto eravamo goffe. Invece Luisa aveva affittato la smart per accompagnarmi e starmi vicina, in effetti la macchina non la conosceva. Grazie Luisa.
Adesso sono tornata, mi sto rimettendo in forma e ho ripreso il lavoro, cosa molto importante in carcere per poter guadagnare e comprare le cose che mi servono, non solo, anche per passare il tempo a fare qualcosa che mi piace tanto.
A presto.
La famiglia è fatta da molte persone, di molte situazioni vissute insieme. Molte volte le persone sono come pezzi di un puzzle solo con il cognome, si vedono e conoscono gli altri membri solo in occasione di grandi eventi come matrimoni o funerali. Ogni componente della famiglia crea il suo ramo dell’albero, senza sapere però, dove stava piantato, è difficile.
Perché: dove vado se non so da dove vengo?
Mia nonna paterna era ucraina e dei suoi padri non si sa niente, non sapeva leggere e scrivere, però era molto divertente e rispettava le diversità del mondo. Di mio nonno paterno, suo marito, non ricordo nulla, è morto dopo cinque mesi dalla mia nascita; mi hanno detto che era spiritoso e che parlava quattro lingue. Da giovane cercava non si sa cosa, viaggiando nel mondo. Era nato nel febbraio 1888 e nel 1905 stava già in America; chi sa cosa cercava! Si chiamava Govanni (Jan). Quando era in arrivo un nipote diceva “guai a voi se lo chiamate come me” a suo dire, ne bastava uno con questo nome. Di lui non so molto però quanto ero incinta del mio secondo figlio maschio l’ho chiamato Yassine che vuole dire Jan (tutti lo chiamano Jasko). Dei miei nonni materni si sapeva tutto perché abitavano abbastanza vicino.
Io non ho dato grande importanza alle mie origini. La vita è volata e io a quarant’anni ho cominciato a pormi domande. Perché non si sa niente dei bisnonni paterni, e solo poche cose dei nonni paterni. Non si sa niente dal tempo prima di arrivare in Polonia e come la vita di mio padre sia iniziata a nove anni, il giorno del suo arrivo in Polonia. Guardo i miei figli crescere e mi faccio tante domande, vorrei esplorare le strade alle mie spalle e ripercorrere a ritroso quelle radici che mi tengono in piedi con le spalle dritte: chi mi ha fatto così come sono e mi ha condotta fino a qui, e mi fa scoprire cosa mi succede, o mi sono ritrovata, o meglio la vita mi ha spinto in prima linea in cima a questo albero genealogico disorientata e senza nessuno indicazione.
Perché solo le nostre origini ci dicono chi siamo, ci danno gli strumenti per capire se, come, per chi e da cosa vogliamo affrancarci. E aiutano a scegliere la direzione e danno segnali importanti per noi e per chi verrà dopo. Mio padre ha sessantasette anni ed è tempo che risponda a delle domande:
– il nonno ha fatto la guerra?
– e con chi l’ha fatta?
– perché la zia dai begli occhi verdi non si è più sposata?
– che tipo di mestiere ha fatto la nostra famiglia?
– e che ninna nanna cantavano ai bambini?
Por questo ci vuole un viaggio in treno. Quello con padre, figlia e nipote (il mio primo figlio che oggi ha 16 anni), un viaggio per noi stessi, cercando le risposte per ricominciare. Per ripercorrere la nostra vita e condividere i nostri pensieri. Quanti paesaggi vanno scorrendo di fronte ai nostri occhi, ci aiutano a capire che il tempo passa e a farci rendere conto che non è dalla nostra parte. Come ho detto, un viaggio di questo tipo è meglio farlo in treno, perché dal treno non è possibile uscire fisicamente per evitare le risposte, è un posto, dove la domanda richiede la risposta. In questi anni ho scoperto che sto ancora crescendo e che la mia famiglia ha una grande storia molto interessante. A ogni chilometro apprendo un pochino di biografia, prendiamo appunti, ricostruiamo attraverso i fatti, le fotografie, i racconti, i dubbi le lettere scritte, quelle spedite e non, le parole dette e quelle non dette, tutto questo insieme conferisce una nuova immagine della nostra famiglia. Perché la vita e l’amore finiscono se non sono coltivati, siamo ancora in tempo a capire, anche cosa non si è saputo scegliere, o quello che la vita ha regalato. Sono sorpresa di quanto sono cambiata, anche come è differente il mio punto di vista. Può essere che questo sia capitato quando mi trovato in quel tempo di mezzo, accompagnata nel mio viaggio da residenti sopra, sotto e accanto a me. E la vita è un’esperienza bellissima: oggi mi capita di reagire in modo completamente diverso da quello di un tempo, e mi piacciono i cambiamenti, viva la vita, viva la famiglia.
Ormai con gli anni voglio diventare, per mio padre, più amica che buona figlia.
Sto pianificando un viaggio con la transiberiana dalla Polonia a Vladivostok (città siberiana). Da lì ha inizio la storia della mia famiglia.
Sì, ho preso la decisione di costruire così un albero con le sue radici, e insieme, tre generazioni della mia famiglia, piantiamo un albero nella terra dei miei nonni.
Se salgo su questo treno, grazie a mia nonna paterna che mi ha insegnato la lezione che la fame viene e va con dignità e diversamente, che la vita, una volta perduta, non ritorna più.
Non so a che cosa mi dedico, io ho dentro, nel mio sangue, “l’andare via il più lontano possibile”, però con gli anni ho capito e spero che i miei figli impareranno “a rimanere.”
La consapevolezza mi rende responsable e libera.
Dana
figlia di un Padre
dall’educazione siberiana.
A me è capitato di esserci qua
come rovesciata all’incontrario.
Dove? Dove mai sono finita
Quanto silenzio ovunque
Quanto tempo libero per una solo
l’aspetto e dico
Ora o mai. Il vento scuote o non scuote
Non si sa e perché?
Il vento è proprio ciò che non esiste qua
Il sole è il sole, sale o no
E che cosa cambia se sale.
Però
non ha bisogno di vento, il sole
non ha bisogno di movimento
non ha bisogno
Shhh…
Quanto silenzio qui
Quanto vuoto qui
E prima di trovarmi qui io non
ricordo neppure come fosse
il non esserci
Shhh…
Si sente una vita e non è una
mosca persa qui.
9/05/2014 ore 10.30
Quando, per il mio corso di teatro, mi hanno chiesto di descrivere le cose che mi mancano dall’esterno, ho scritto che me ne mancano mille, tipo camminare per strada, farmi baciare il viso dal sole. Sì, ragazze, ho detto questo. Però sapete che la mia vita è contradittoria, e abbiamo sempre mille sensazioni. Quando mi hanno liberata all’improvviso, ho detto mille grazie a coloro che mi hanno sempre sostenuto. Le mie amiche di questa avventura; loro sanno chi sono.
Grazie per la loro pazienza e comprensione; è vero che la pazienza è un’arte che si coltiva. A te compagna di stanza, per guidarmi con i tuoi consigli, per avermi fatto ritrovare la fede che sembrava volersene andare, e per la serenità che mi trasmettevi anche con i tuoi improvvisi silenzi. Per le altre ragazze, sarò sempre qui.
Oggi se mi chiedono cosa mi manca del carcere, direi il quotidiano vivere giorno per giorno, che comincia sempre con mille rumori. Tutte le persone che, nel male come nel bene, mi hanno lasciato qualcosa con la loro lezione. Come anch’io penso di aver lasciato qualcosa di me. Però la questione più importante è cominciare a ricordarsi di camminare di nuovo nella libertà, con il piede fermo sul terreno e accogliere la possibilità del treno che passa e che dice: stazione libertà.
Sarà l’inizio dell’inizio cominciato un anno e mezzo fa; una persona mi aveva detto che la vita non finiva lì. È vero, ragazze, la ritroviamo in quella stazione e presto arriverà il treno anche per tutte voi.
Con vero e sincero affetto
Patricia Acosta
27/05/14
Buongiorno Italia,
Buongiorno Milano,
Siamo in centro, in Piazza del Duomo, di fronte alla Cattedrale.
Alla nostra sinistra la Galleria; tutto è così bello, dalla piazza si dipartono tante vie che conducono ad altre vie, altre piazze fino a una piazzetta dove sorge un edificio a forma di stella con sei raggi, un edificio a mo’ di ragno a sei zampe che si affondono nel centro di una città così bella, anzi compongono una fitta ragnatela intorno al suo corpo che comprende tutto, cose e persone, ma restiamo per il momento all’esterno, l’edificio è tutto colorato in rosso, al centro un grande portone che vi invita a entrare, non abbiate paura, non è un posto brutto, l’architettura è molto bella e le persone? Loro sono ringhiusi. Qualcuno entra senza esitazioni e fissa gli occhi delle persone dentro, occhi fiduciosi, occhi che si affidano ai visitatori. Gli ospiti esterni capiscono che gli ospiti interni sono vivi e hanno voglia di recuperare e ad ogni incontro con i volontari, così si chiamano questi ospiti esterni, io credo di poterlo fare.
E allora io penso: spezzata una carriera, l’amore, credo nel segreto portato nella tomba, credo che devo solo ripetermelo continuamente, come una preghiera.
Grazie al volontariato di San Vittore, Milano, Piazza Filangieri 2.
Nonostante mi reputi ancora giovane, ho una vita intera da vivere, ma i miei trentacinque anni sono già vissuti. Ho scoperto molto presto cos’è l’abbandono, l’indifferenza, la solitudine, la cattiveria e, molto, l’invidia; ho dovuto imparare molto presto a essere indipendente, a farmi rispettare per non essere schiacciata dall’insensibilità altrui, a disinteressarmi dei giudizi cattivi di persone che non erano interessate a conoscermi in quanto “persona”, ma si soffermavano solo all’apparenza.
Ho imparato che, per ogni scelta che facciamo nella vita, c’è un prezzo da pagare e per questo mi sono sempre assunta le mie responsabilità e ora eccomi dietro queste sbarre che mi hanno sempre spaventato…
Questo muro che divide la vita reale, i sogni di avere un’altra occasione per ricominciare mentre all’interno ti confronti con una realtà fatta di persone disperate, sole, bloccate… con poche speranze in un futuro migliore, ma anche con una realtà fatta di esseri umani straordinari che fortunatamente ho conosciuto, che con piccoli gesti, ti aiutano a vivere in un ambiente così difficile, … una carezza inaspettata, un sorriso improvviso a un minimo cenno diventa grande amore, una piccola nuova famiglia …
Grazie a chi mi ha stupito con la sua dolcezza, con la sua sincerità e con molta disponibilità…
Grazie alla mia famiglia che, con la presenza mi dimostra amore, ma, soprattutto, grazie al mio amore, che dà un senso ancora alla mia vita e alla sua meravigliosa famiglia.
Vacanze ’82, avevamo deciso di tornare in Spagna, in un appartamento a Tossa de Mar. Era l’anno dei mondiali di calcio e, per l’occasione, avevo cconvinto le mie amiche – eravamo un gruppo di sei ragazze – a fermarci in un campeggio fuori Barcellona per assister alla partita Italia-Brasile. Anche se nessuna di loro era tifosa, l’entusiasmo di assistere a una partita così importante aveva eccitato tutte. Quel giorno, di prima mattina, avevamo lasciato il campeggio già “vestite” per l’occasione: tre di noi indossavano a mo’ di top una bandiera-triangolo-italiana e, ognuna aveva in testa un nastro bianco, rosso e verde.
Arrivate a Barcellona, gasatissime e accaldate – le temperature sfioravano i quaranta gradi – trovammo un’atmosfera fantastica: tantissima gente per le strade, un entusiasmo e un calore coinvolgenti; mentre andavamo in giro a “far casino”, fummo intervistate da un’emittente sudamericana. L’emozione era tale che rispondemmo balbettando uno stentato: “Forza Italia….vinceremo!”
Arrivate allo stadio e raggiunta la nostra postazione sugli spalti ci rendemmo conto di quanto fosse scomoda e lontana dal campo. Cominciai subito a lamentarmi con un poliziotto, carinissimo, che mi rispose con un sorriso accattivante: “Italiana…tranquilla.” e ci accompagnò in tribuna dove ci fece accomodare su sei poltrone con una visuale fantastica. Non finivamo più di ringraziarlo. Visuale ottima, tifo spietato, urla, risate, abbracci, baci. Un brasiliano seduto accanto a me mi regalò il suo cappellino, cominciò la partita più bella di quel mondiale.
Il nostro ineguagliabile Rossi segna e GOOOAAALLL, – due delle mie amiche si chiamavano Rossi di cognome e il fratello di una di loro: Paolo – L’omonimo Paolo Rossi fa tre goal. Avevamo vinto! Anche le mie amiche seppur non fossero tifose, si erano esaltate al massimo, prese da quell’atmosfera. In seguito incontrammo dei ragazzi toscani ai quali ci aggregammo per i festeggiamenti notturni: pazzeschi giri in automobile, sepolti dalle bandiere, e dalle grida di giubilo per la nostra vittoria. La notte la passammo fra la hall dell’albergo dei toscani e le passeggiate nelle ramblas a bere champagne fino a mattino inoltrato quando telefonammo a casa, ai nostri genitori per farli partecipi di tanta felicità. Ritornammo in campeggio stanche, sudate, ma felici.
L’appartamento a Tossa de Mar ci aspettava, e facendo base lì, tornammo a Barcellona per seguire le ultime partite. La notte della finale eravamo a Barcellona dove eravamo andate per vedere la fontana magica di Montjuïc, quella spettacolare esibizione di colori, luci, movimento, musica e giochi d’acqua. La partita la seguimmo in un bar. Mentre il Presidente Pertini applaudiva dalla tribuna e Nando Martellini gridava: campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo!!! Noi, pazze di gioia, ballavamo sui tavoli e poi di nuovo a festeggiare per le strade di Tossa de Mar, eravamo i campioni del mondo di calcio.
Troppo bella quella vacanza, indimenticabili quei giorni. Tutto rimarrà sempre nei miei ricordi felici perché….io c’ero! Ricordi che mi aiutano a “tirare avanti”, anche oggi, anche qui, dal carcere di San Vittore, in cui sono da quasi tre anni. Bei ricordi che nessuno mi toglierà mai, anche se pervasi di grande nostalgia.
di Mariangela, tifosa ‘51
Quella notte andando per quelle vie cosi strette, con quelle mura in terra rossa, finendo in una piazza dove la vita si ferma e si incontra con il passato; con questi personaggi bizzarri, ognuno dei quali ha le capacità per poter fare qualche spettacolo, guadagnando un po’ di dirham per mantenere la sua famiglia.
Visi sorridenti, pace con tanta sofferenza, si esibiscono davanti ad una folla chiassosa e quell’incantatore di serpenti e quei maghi che propongono rimedi contro il malocchio e venditori d’acqua, tenuta dentro la pelle di pecora e servita nel bicchiere di rame, con un bel sorriso pieno di gioia. Per non parlare del suk il grande mercato, il più variopinto del paese con tutti gli artigiani, senza trascurare quelli della lana che stendono le loro matasse appena tinte ad asciugare da un capo all’altro della strada. In quel momento mi siedo in un kahwa (bar) e ordino un bel tè alla menta accompagnato con un buon tajin di carne alla prugna, e dico: “Com’è bella la vita nella semplicità ……”
Poi di colpo mi sveglia un urlo MODELLO TREDICI!!!!!!*
*Il richiamo dell’agente di sezione per i detenuti che si sono prenotati per accedere all’Ufficio Matricola e inoltrare una richiesta.
Guardate i felici
Sentite di lontano come ridono
E di che colore sono?
E in che lingua parlano?
E quelle loro cerimonie di ogni giorno
E quei doveri inventati per ciascuno
Sono loro qualunque tra il popolo
Perché?
E accaduto proprio a questi
E non altri
Ormai
E fatto, è lo stesso
Orgogliosi di non esistere
Piangono solo nel buio e nel silenzio
Non vincono
Non pareggiano
Non vanno via
Non cadono più, sono già sul pavimento
Ognuno ha un piano che non funzionerà
Sanno aspettare e aspettano
E sono convinti che tutto questo è come fatto
Contro l’umanità
E che umanità?
E normale, è utile per l’umanità
E sicuro per tutti
Sicuro che è serio
Io sono una di loro mi chiamo BB3212(…)
E una cosa che mi viene in mente è la
Filosofia di Murphy: sorridi….
Sorridi… domani sarà peggio.
Guardate i felici
Sentite di lontano come ridono
E di che colore sono?
E in che lingua parlano?
E quelle loro cerimonie di ogni giorno
E quei doveri inventati per ciascuno
Sono loro qualunque tra il popolo
Perché?
E accaduto proprio a questi
E non altri
Ormai
E fatto, è lo stesso
Orgogliosi di non esistere
Piangono solo nel buio e nel silenzio
Non vincono
Non pareggiano
Non vanno via
Non cadono più, sono già sul pavimento
Ognuno ha un piano che non funzionerà
Sanno aspettare e aspettano
E sono convinti che tutto questo è come fatto
Contro l’umanità
E che umanità?
E normale, è utile per l’umanità
E sicuro per tutti
Sicuro che è serio
Io sono una di loro mi chiamo BB3212(…)
E una cosa che mi viene in mente è la
Filosofia di Murphy: sorridi….
Sorridi… domani sarà peggio.
Cara Lina,
volevo ringraziarti per quello che tu e Quartieri Tranquilli state facendo per il nostro giornale “Oltre gli occhi”. Fino a qualche mese fa il nostro progetto editoriale era nascosto tra le mura di San Vittore. Grandi sogni, grandi aspettative ma non eravamo riuscite, le detenute, Renata ed io, a renderlo visibile. Tramite i vostri contatti capillari e la tua gentile e simpatica collaborazione, ci avete aiutato a diventare realtà. “Oltre gli occhi” è stato presentato in Regione e un benefattore ci ha regalato la stampa e l’impaginazione. Questo spero sia solo l’inizio di una lunga e profonda amicizia e collaborazione Grazie veramente di cuore da parte di tutte noi
Simona Salta