Archivio dell'autore: Giordana Talamona

Informazioni su Giordana Talamona

Giornalista, sommelier, esperta di vini ed enogastronomia, ama naturalmente la vita e il vino.

Il silenzio appiattisce le coscienze

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Credo che occorra una riflessione condivisa sul femminicidio, che parta prima di tutto dagli uomini. I fatti di sangue, ogni giorno più barbari e crudeli, che hanno per vittime le donne dovrebbero ferire tutti, ma i primi a infuriarsi dovrebbero essere proprio loro. Vorrei sentire la loro indignazione per quello che altri uomini hanno commesso. Questa indignazione c’è, esiste? Perché non la sento? Pensare che non li riguarda, solo perché loro sono “migliori” di altri, è il primo degli errori. Il silenzio appiattisce le coscienze, le rende mute, cieche, sorde. Queste sono ferite che dovrebbe essere sentite e condivise da tutti. Quegli uomini che hanno ucciso potrebbero essere i nostri fratelli, padri o amici. Quelle donne che sono state uccise potrebbero essere le nostre sorelle, madri o amiche. Immagino, sogno, che siano gli uomini a parlare ad altri uomini, nelle scuole, nelle palestre, negli uffici, ovunque. Che siano psicologi, sociologi o semplicemente uomini, vorrei sentirli parlare di questa sottocultura che sta rendendo schiave le donne, uccise per aver avuto il coraggio di dire un semplice “no”. Perché i Quartieri Tranquilli non promuovono quest’autocoscienza condivisa tra uomini e donne?

Quasi quasi mi sposo: il viaggio di nozze

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Ancora ci penso a quello che un’organizzatrice di viaggi ci ha detto, poco prima di uscire da una fiera per gli sposi. “Quando vi vorreste sposare? Ma non di quest’anno, vero? E  no, perché per organizzare un viaggio, noi abbiamo bisogno di almeno un anno di anticipo!”. E che sarà mai, se ce l’ha fatta Phileas Fogg a fare il giro del mondo in 80 giorni, non ce la potremo noi ? Un’idea quasi, quasi ce l’ho…

Quasi quasi mi sposo: il servizio fotografico

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Guardandomi in giro, ho capito che per il “sì” tutte vogliono essere immortalate come fossero Kate Middleton! Non c’è altra spiegazione per certe pose assurde che ho visto sfogliando degli album fotografici dimostrativi. La sposa che indossa l’abito. Primo piano di un ricciolino che scende, voluttuoso, sulle spalle. Ripresa dall’alto sull’acconciatura a trecce incrociate, chiara simulazione di una foto aerea di Nazca. Ritratto della sposa sul divano, effetto seppia.  Discesa imperiale dalle scale, tipo Wanda Osiris. Particolare delle scarpe, da cui si intravede un tatuaggio.

Per non parlare di tutte quelle pose cretine, degne di un filmetto comico. Lui con la scopa in mano che pulisce il sagrato della chiesa, lei con un martellone di peluche rosa che gli dà un colpo in testa, gli amici che prendono in braccio lo sposo  che, a sua volta, prenderà in braccio la sposa, che lancerà il bouquet, dopo  essersi fatta strappare la giarrettiera dal fotografo. Ma non doveva farlo lo sposo? Mah…

Quasi quasi mi sposo

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Non si può proprio dire che non ci abbia pensato e ripensato. Il senso del matrimonio, sì, forse, non so se fa per me. Il ruolo della donna, non poter dare il mio cognome ai figli. E poi la cerimonia, il vestito, tutta una serie di tradizioni che mi vanno strette. E la crisi, con l’incertezza economica in cui viviamo oggi, è saggio sposarsi? Ma non stavamo bene così, felici e conviventi?

Poi i dubbi si sono sciolti come ghiaccio al sole, prima qualche gocciolina, poi pian piano tutti assieme. Ci siamo guardati e ci siamo detti che “sì, fa per noi”. Ci amiamo e stiamo per sposarci. Dirlo mi riempie di felicità e terrore perché le belle favole, di solito, finiscono sull’altare con un “E vissero felici e contenti”. E dopo? Cosa succederà? La nostra, in realtà è una favola che va avanti già da molti anni, quasi diciotto. Fatemi  le congratulazioni perché il 13 agosto quasi, quasi mi sposo… anzi certamente.

Lo sapevate?

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La  notizia è di una settimana fa. Roberta Benetti è la ricercatrice italiana che ha scoperto le molecole che bloccano la proliferazione tumorale, una ricerca che, tra qualche anno, potrebbe eliminare la chemio e la radioterapia. Si tratta di molecole intelligenti, autoprodotte dall’organismo umano, che andrebbero ad aggredire soltanto le cellule malate. La Belletti, originaria di Monfalcone, guida un team composto da giovani ricercatori, alcuni dei quali stranieri che hanno scelto l’esperienza di ricerca in Italia unendosi al gruppo dell’Università di Udine. Lo studio è stato realizzato grazie al fondamentale sostegno dell’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc).

Si parla spesso di fuga dei cervelli e di tagli alla ricerca, possibile che quando una ricercatrice, donna e italiana per giunta, faccia una scoperta importante, la notizia passi sottotono?

La legge è uguale per tutti

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Ci sono due storie che dovrebbero farci riflettere, che dovrebbero darci la portata di cosa significhi, in questa società, la comprensione, la solidarietà e la cosiddetta “umanità”. Due storie di disabilità, due storie di creatività, perché se sei disabile il mondo te lo devi inventare tutti i giorni. Un mondo fatto di regole, rigide e spietate, come quelle della natura e quelle dell’uomo. Una natura che non ha permesso a un giovane delfino, affetto da una malformazione alla spina dorsale, di star dietro al suo branco, e delle regole umane che non permettono ad un giovane ragazzo down di diventare cittadino italiano.

Il riconoscimento della cittadinanza italiana per un ragazzo straniero, nato e cresciuto nel nostro Paese, è un diritto, ma lo è molto meno se affetto dalla sindrome di down. Questa la storia di un ragazzo albanese di 18 anni, nato e cresciuto in Italia, che per la sua disabilità non può prestare giuramento come italiano.   “Lo scoglio – spiega l’avvocato della Lega per i diritti delle persone con disabilità, Gaetano De Luca – “sta proprio nel giuramento, passaggio ritenuto imprescindibile per un diciottenne straniero nato in Italia che vuole diventare italiano”.

Ma se la legge umana è rigida, un insegnamento ci arriva dalla natura. Il giovane delfino con la spina dorsale a “S” è stato adottato da dei capodogli, un fatto eccezionale e inspiegabile secondo i ricercatori. E’ la prima volta, infatti, che questi grandi cetacei instaurano un rapporto con quelli più piccoli anche perché, secondo Monica Almeida, “i capodogli hanno buone ragioni per non farsi piacere i tursiopi, dato che quando sono a caccia i delfini molestano spesso i loro cuccioli”.

Se la legge della natura, ancora una volta, stupisce per la sua imprevedibilità, quella umana indigna per la sua rigida stupidità. Ma si sa, la legge è uguale per tutti, o quasi.

Quando le donne dicono No

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Qualche settimana fa, più precisamente il 9 gennaio, è stato il compleanno di una Signora, con la S maiuscola, che ha cambiato la storia di molte donne italiane. Le giovani non la conoscono, io stessa che ho 37 anni ho scoperto di lei e del suo coraggio proprio il giorno del suo compleanno. Franca Viola è stata la prima donna ad aver rifiutato il matrimonio riparatore, a dire NO al suo rapitore, un picciotto imparentato con una famiglia mafiosa, che dopo averla violentata e segregata per otto giorni, la chiedeva in moglie per salvarle l’onore.

Non siamo nella Sicilia dell’Ottocento, ma in quella del 1965, meno di 50 anni fa. Fidanzata dall’età di 14 anni con un giovane di cui era profondamente innamorata, Franca fu oggetto suo malgrado delle attenzioni di uno spasimante sempre respinto, tal Filippo Melodia, che la rapì col fratellino di 8 anni, il 26 dicembre 1965. Dopo la liberazione, avvenuta grazie a un blitz dei carabinieri, non solo Franca disse NO al matrimonio riparatore, contravvenendo alle regole morali dell’epoca, ma riuscì a far arrestare il suo aguzzino e a far abrogare parte dell’articolo 544 del codice penale che “ammetteva la possibilità di estinguere il reato di violenza carnale, anche ai danni di una minorenne, qualora fosse stato seguito dal cosiddetto matrimonio riparatore”. Accanto a lei il padre, un contadino semianalfabeta, che la sostenne dall’inizio alla fine, con coraggio e amore.

Franca oggi vive ad Alcamo con la famiglia, ha due figli ed è sposata con il fidanzatino dell’epoca, Giuseppe Ruisi,  che la volle accanto nonostante le innumerevoli minacce di morte ricevute. “Meglio vivere dieci anni con te, che una vita con un’altra” – le ha detto per convincerla a sposarlo nel 1968.

Grazie Franca, per il suo coraggio, per la dignità che ha dimostrato e per quel fiero e giusto “NO” che ha saputo urlare di fronte all’Italia intera. Noi tutte la ringraziamo.

Il taglio solidale

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Una bella idea in testa, non c’è che dire. Alessandra Pucci, proprietaria di un salone di bellezza romano, ha inaugurato il progetto “taglio solidale”  per venire incontro alle donne disoccupate, studentesse e pensionate che, a causa della crisi, rinunciano a tutto, parrucchiere compreso.

L’offerta prevede taglio e piega a soli otto euro, tre dei quali saranno devoluti in beneficenza al “Centro uomini maltrattanti” di Firenze, un luogo di supporto che cerca di prevenire le violenze domestiche e il femminicidio. Donne che aiutano altri uomini, dunque, donne che aiutano altre donne. Da una piega, può nascere un fiore.

Quando…

… il tuo ex ti dice “mi sposo” senti una fitta nello stomaco. E’ un dolore che sa di malinconia e rabbia, di nostalgia e rancore per lui (sì proprio lui) che ha scelto di farsi una famiglia con un’altra. E non c’entra minimamente il fatto che stai meglio adesso, così come sei, libera, indipendente o forse realizzata con un altro uomo.

Quel dolore che arriva fa male come una stilettata, perché quel che brucia dentro è la consapevolezza improvvisa che lui (sì proprio lui) sia riuscito ad andare avanti anche (e meglio) senza di te”.

Questo, in breve, è ciò che mi ha confidato un’amica pochi giorni fa. Nel sentirla parlare con tanta amarezza ho provato dolore per lei, per quel senso di fallimento che accompagnava le sue parole. Mi sono chiesta cosa accada, dentro, nell’animo di ognuno di noi, quando giunge la notizia che per quel vecchio amore rappresentiamo soltanto il passato. Perché fa così male?

Eva contro Eva

Ho visto pochi giorni fa, per la prima volta, questa pellicola degli anni cinquanta. Molti di voi la conosceranno certamente e vi chiedo: “Avete mai incontrato una come Eva?”. Oggi come allora, non è difficile inciampare in un’ambiziosa arrivista capace di passare sopra il cadavere di chiunque… A me è venuta in mente una vecchia conoscenza che, con un sorriso sulle labbra e una velocità da centometrista, stava per scipparmi un lavoro importante, dopo che l’avevo presentata a dei committenti… E a voi è mai capitato di imbattervi in Eva?

Milk art

Cara Lina, che belle le creazioni di Gianni Cocco, ci farò un approfondimento! Grazie per avercelo fatto conoscere.

Racconto di un trasloco

La casa nasconde, ma non ruba. Erano queste le parole che, in quei giorni concitati, Rossella sentiva ripetere dalla madre, da quando aveva perso i suoi orecchini. Difficile ammettere una crepa in quel mondo preordinato, per lei che, organizzata come un militare, non ammetteva deroghe alla precisione. La sua vita era cristallizzata nella monotonia più assoluta, fatta di abitudini e riti quasi maniacali che andavano dal caffè mattutino con la solita miscela acquistata al bar del centro, al consueto giro in palestra, dove per la verità più che allenarsi passava il tempo a chiacchierare con le amiche, sino al telegiornale della sera. Per questo, lei che a quarant’anni suonati non aveva ancora voluto condividere il dentifricio con un uomo, quel trasloco era quanto di più sconvolgente si potesse immaginare. Aveva pianificato tutto da mesi: l’arrivo del camion dei traslochi era stato preceduto da una certosina archiviazione di libri, regali da fare per lo più già incartati, borse, piatti e chincaglierie che erano rientrati in un bollettario con tanto di quantità e descrizione, con la dicitura corrispondente a quella degli scatoloni. Nel momento culminante, quello che lei definiva con una certa protervia lessicale, della “movimentazione dei carichi”, facendo intendere che era una che ne sapeva sull’argomento, aveva indicato agli uomini del trasloco quali scatoloni prendere per primi e l’ordine esatto da rispettare.
In tutto quel caotico affaccendarsi di pacchi e di esseri umani che invadevano la sua vita, Rossella non aveva notato la presenza di un omino dal viso contrito, che la guardava dall’uscio della porta accanto, torcendosi le mani. Riccardo era un silenzioso signore sulla cinquantina, piuttosto basso, che molti avrebbero definito il vicino di casa ideale. Non faceva baccano, si puliva i piedi sullo zerbino comune quando rientrava nel palazzo e salutava compitamente tutti i vicini, persino la Sig.ra Garofalo, una bisbetica di settant’anni che era riuscita a litigare con chiunque nell’ultimo mezzo lustro. Riccardo, al contrario, in dieci anni di vita passata in quell’edificio, non aveva avuto a che dire con nessuno. Solo una volta, durante una riunione condominiale, aveva sollevato la questione delle briciole buttate sul suo balcone dalla Sig.ra Brusa, una giunonica donnona che stava inerpicata per miracolo su dei finissimi tacchi a spillo, che la facevano sembrare a metà tra un uccello trampoliere e un’equilibrista del circo. Proprio in quell’occasione aveva trovato in Rossella una preziosa alleata, perché – aveva fatto mettere a verbale la donna – “quelle briciole spinte dal vento invadono spesso anche la mia proprietà, sporcandola e richiamando svariati insetti”.
Da quella sera di autunno inoltrato, Riccardo aveva iniziato a guardare quella vicina di casa con occhi diversi, senza mai cercare di darlo a vedere, rimanendo sull’uscio della porta di casa senza il benché minimo tentativo di oltrepassarlo per andare da lei, quasi fosse un sacrilegio. Ora che Rossella se ne stava andando, lasciando vuota quella casa, non sapeva come dirle addio senza pentirsi del tempo lasciato scorrere inutilmente, sentendosi più piccolo di quel che era. Con uno sforzo che sorpassava la sua inadeguatezza, Riccardo aveva fatto un passo, e poi un altro, lentamente, trovandosi nel mezzo del pianerottolo, schivando a stento gli scatolini che scendevano giù per le scale, veloci e in fila, come foglie portate dalle formiche. Era entrato, silenzioso, nel mezzo del salotto e l’aveva trovata là, a stento padrona di sé, in quel bailamme apparentemente sotto controllo. Le aveva dato una lettera e un paio d’orecchini, tendendo la mano verso Rossella, emozionandosi come un ragazzino per quell’involontario sfiorarsi di dita. Lei l’aveva ringraziato per averle restituito quegli orecchini a goccia che – lo sapeva – non potevano essersi dileguati nel suo appartamento. Li aveva messi via, così come la lettera, senza neanche domandarsi quale contenuto potesse celare, tutta presa dal trasloco e, accidenti, “quegl’inetti non o sanno che se c’è scritto fragile sui pacchi, dovrebbero prestarci più attenzione?”. Riccardo era andato via, senza dire niente.
Una sera, passati due mesi dal trasloco, Rossella si era improvvisamente ricordata di quella lettera. L’aveva cercata tra la posta da leggere, l’aveva aperta e aveva trovato poche, semplici righe. “Per archiviare i documenti cartacei uso un porta-ricevute con gli scomparti, le fatture le conservo in una cartella suddivisa in buste di plastica trasparente formato A4, ognuna per categoria: elettricità, gas, acqua, telecom e rate del mutuo. Mentre nelle cartelle rosa ripongo la dichiarazione dei redditi, i certificati medici, le ricevute, i titoli di studio, gli estratti conto e i documenti della banca. In una cartella bianca raccolgo, infine, gli scontrini della farmacia e i documenti vari. In allegato foglietto esplicativo, con l’indirizzo della cartoleria che li vende”. Rossella aveva sorriso ricordandosi di quando ne avessero parlato, mesi prima, pensando“questa sì che è organizzazione!”. Poi aveva sospirato, con un che di malinconico, sentendo il caos provenire da un altro appartamento, e solo allora aveva detto tra sé e sé, dolendosene un poco: “E’ proprio vero, il vicino ideale arriva una sola volta nella vita”. La lettera era stata riposta nell’archivio della posta letta.
 

Il giro del mondo in 80 giorni

La voglia di evadere me l’ha fatto scegliere. L’avevo letto da bambina, ma ora che sono adulta riscopro tutta la bellezza dei personaggi. E voi, avete mai riletto un libro dell’infanzia ?

Miniera

Questa è la storia di un tesoro ritrovato, fatto di lettere vergate intingendo il pennino nel calamaio, che rievocano un mondo che non c’è più, scomparso per sempre sulle tastiere dei computer. Rosalba Mariani racconta, attraverso il carteggio della sua famiglia, quasi un secolo di storia, dal 1909 al 1997, sul cui sfondo appare l’andirivieni quotidiano di un p&ælig;sino sardo dai tratti quasi fiabeschi, Montevecchio, con la sua miniera di piombo argentifero. Ed è proprio attraverso le lettere che Rosalba eredita alla morte della sorella Silvia, che scopriamo tutto sulla miniera e sui suoi personaggi incredibili. Donne coraggiose, grandi amori, briganti, viaggi durante la seconda guerra mondiale, il boom economico, giungendo lettera, dopo lettera sino ai giorni nostri con una scoperta che ha dell’eccezionale: Rosalba Mariani è la madre di una conoscenza comune, di una donna amabile che fa parte della comunità dei Tranquilli. Chi sarà? A voi la sfida di scoprirlo, leggendo tutto d’un fiato questo avvincente romanzo familiare che vi conquisterà pagina dopo pagina, riscoprendo con nostalgia quanto sia affascinante e p&œlig;tica una lettera scritta a mano.

MINIERA
di Rosalba Mariani
De Carlo Delfino Editore, 188 pag.
 

Il viaggiatore e il chiaro di luna

Due giorni fa, in biblioteca, alla ricerca di Madga Szabò, incappo in un altro autore ungherese Antal Szerb. Libro ingiallito dal tempo, l’ultimo prestito quasi sei anni fa. Lo prendo. Da allora non riesco più a staccarmene e non vedo l’ora di tornare a casa per leggerlo.