Racconto di un trasloco

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La casa nasconde, ma non ruba. Erano queste le parole che, in quei giorni concitati, Rossella sentiva ripetere dalla madre, da quando aveva perso i suoi orecchini. Difficile ammettere una crepa in quel mondo preordinato, per lei che, organizzata come un militare, non ammetteva deroghe alla precisione. La sua vita era cristallizzata nella monotonia più assoluta, fatta di abitudini e riti quasi maniacali che andavano dal caffè mattutino con la solita miscela acquistata al bar del centro, al consueto giro in palestra, dove per la verità più che allenarsi passava il tempo a chiacchierare con le amiche, sino al telegiornale della sera. Per questo, lei che a quarant’anni suonati non aveva ancora voluto condividere il dentifricio con un uomo, quel trasloco era quanto di più sconvolgente si potesse immaginare. Aveva pianificato tutto da mesi: l’arrivo del camion dei traslochi era stato preceduto da una certosina archiviazione di libri, regali da fare per lo più già incartati, borse, piatti e chincaglierie che erano rientrati in un bollettario con tanto di quantità e descrizione, con la dicitura corrispondente a quella degli scatoloni. Nel momento culminante, quello che lei definiva con una certa protervia lessicale, della “movimentazione dei carichi”, facendo intendere che era una che ne sapeva sull’argomento, aveva indicato agli uomini del trasloco quali scatoloni prendere per primi e l’ordine esatto da rispettare.
In tutto quel caotico affaccendarsi di pacchi e di esseri umani che invadevano la sua vita, Rossella non aveva notato la presenza di un omino dal viso contrito, che la guardava dall’uscio della porta accanto, torcendosi le mani. Riccardo era un silenzioso signore sulla cinquantina, piuttosto basso, che molti avrebbero definito il vicino di casa ideale. Non faceva baccano, si puliva i piedi sullo zerbino comune quando rientrava nel palazzo e salutava compitamente tutti i vicini, persino la Sig.ra Garofalo, una bisbetica di settant’anni che era riuscita a litigare con chiunque nell’ultimo mezzo lustro. Riccardo, al contrario, in dieci anni di vita passata in quell’edificio, non aveva avuto a che dire con nessuno. Solo una volta, durante una riunione condominiale, aveva sollevato la questione delle briciole buttate sul suo balcone dalla Sig.ra Brusa, una giunonica donnona che stava inerpicata per miracolo su dei finissimi tacchi a spillo, che la facevano sembrare a metà tra un uccello trampoliere e un’equilibrista del circo. Proprio in quell’occasione aveva trovato in Rossella una preziosa alleata, perché – aveva fatto mettere a verbale la donna – “quelle briciole spinte dal vento invadono spesso anche la mia proprietà, sporcandola e richiamando svariati insetti”.
Da quella sera di autunno inoltrato, Riccardo aveva iniziato a guardare quella vicina di casa con occhi diversi, senza mai cercare di darlo a vedere, rimanendo sull’uscio della porta di casa senza il benché minimo tentativo di oltrepassarlo per andare da lei, quasi fosse un sacrilegio. Ora che Rossella se ne stava andando, lasciando vuota quella casa, non sapeva come dirle addio senza pentirsi del tempo lasciato scorrere inutilmente, sentendosi più piccolo di quel che era. Con uno sforzo che sorpassava la sua inadeguatezza, Riccardo aveva fatto un passo, e poi un altro, lentamente, trovandosi nel mezzo del pianerottolo, schivando a stento gli scatolini che scendevano giù per le scale, veloci e in fila, come foglie portate dalle formiche. Era entrato, silenzioso, nel mezzo del salotto e l’aveva trovata là, a stento padrona di sé, in quel bailamme apparentemente sotto controllo. Le aveva dato una lettera e un paio d’orecchini, tendendo la mano verso Rossella, emozionandosi come un ragazzino per quell’involontario sfiorarsi di dita. Lei l’aveva ringraziato per averle restituito quegli orecchini a goccia che – lo sapeva – non potevano essersi dileguati nel suo appartamento. Li aveva messi via, così come la lettera, senza neanche domandarsi quale contenuto potesse celare, tutta presa dal trasloco e, accidenti, “quegl’inetti non o sanno che se c’è scritto fragile sui pacchi, dovrebbero prestarci più attenzione?”. Riccardo era andato via, senza dire niente.
Una sera, passati due mesi dal trasloco, Rossella si era improvvisamente ricordata di quella lettera. L’aveva cercata tra la posta da leggere, l’aveva aperta e aveva trovato poche, semplici righe. “Per archiviare i documenti cartacei uso un porta-ricevute con gli scomparti, le fatture le conservo in una cartella suddivisa in buste di plastica trasparente formato A4, ognuna per categoria: elettricità, gas, acqua, telecom e rate del mutuo. Mentre nelle cartelle rosa ripongo la dichiarazione dei redditi, i certificati medici, le ricevute, i titoli di studio, gli estratti conto e i documenti della banca. In una cartella bianca raccolgo, infine, gli scontrini della farmacia e i documenti vari. In allegato foglietto esplicativo, con l’indirizzo della cartoleria che li vende”. Rossella aveva sorriso ricordandosi di quando ne avessero parlato, mesi prima, pensando“questa sì che è organizzazione!”. Poi aveva sospirato, con un che di malinconico, sentendo il caos provenire da un altro appartamento, e solo allora aveva detto tra sé e sé, dolendosene un poco: “E’ proprio vero, il vicino ideale arriva una sola volta nella vita”. La lettera era stata riposta nell’archivio della posta letta.
 

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