Archivio dell'autore: Matteo Motterlini

Il cervello sa se lo spot funziona

Immaginate di voler sapere se una campagna pubblicitaria funzionerà. Per farlo, potete utilizzare l'affermata tecnica del focus group. Un gruppo di persone è invitato a discutere e a confrontarsi su un dato spot e a formulare i propri giudizi. Quindi selezionerete lo spot ritenuto più efficace. Ovviamente potete anche chiedere un parere ai guru del settore e lasciarvi guidare dalla loro peculiare sensibilità nel catturare ciò che la gente davvero vuole.
Immaginate però un'altra possibilità, resa realizzabile dalle moderne tecnologie di neuroimmagine. Interrogare cioè non i soggetti che osservano la pubblicità, ma direttamente i loro cervelli; e vedere se ciò che essi svelano è diverso dal giudizio deliberato espresso dai loro "proprietari".
A questo punto potrete mettere in scena un concorso del tutto peculiare, in cui competono le predizioni del focus group, quelle degli esperti, e quelle dei cervelli "in vivo". Chi dei tre è il più bravo a indovinare la campagna pubblicitaria di successo? La risposta l'ha trovata un nostro collega della porta accanto qui a Ucla, e raramente design sperimentale è stato più elegante. Matthew Lieberman e colleghi hanno preso trentun accaniti fumatori con il desiderio di smettere. Li hanno sottoposti a tre diverse serie di spot televisivi del National Cancer Institute con il preciso scopo di lanciare un "numero verde" (1-800-QUIT-NOW) dedicato a chi cercasse aiuto per liberarsi dal vizio. Hanno quindi condotto un focus group e chiesto ai soggetti di classificare in modo esplicito ciascuno degli spot in termini di efficacia, dal migliore al peggiore. Parallelamente hanno anche ottenuto la stessa classificazione da un gruppo di pubblicitari esperti, che si sono rivelati essenzialmente in linea con il giudizio espresso dai soggetti sperimentali. Infine hanno utilizzato la risonanza magnetica per registrare le attivazioni cerebrali degli aspiranti ex-fumatori mentre guardavano gli spot.
Stando ai dati ufficiali, tutte e tre le campagne hanno aumentato il volume di chiamate al numero verde rispetto al mese precedente al lancio, ma non allo stesso modo. Lo serie di spot che chiameremo A ha aumentato le chiamate di 2,8 volte, la serie B di 11,5 e la serie C di ben 32 volte. E chi aveva correttamente predetto che lo spot C sarebbe stato il migliore? I cervelli! In particolare, la loro sezione inferiore della corteccia mediale prefrontale: un'area più o meno in mezzo ai due emisferi, le cui funzioni sono ancora poco chiare, ma che ricerche indipendenti indicano essere coinvolta nei processi automatici con cui diamo valore e quindi ordiniamo oggetti e azioni.
Nella maggior parte dei soggetti, il livello di attivazione di questa regione cerebrale durante la visione degli spot pubblicitari era maggiore quanto più la serie di spot è risultata efficace nel mondo reale. In altre parole, la "risposta" del cervello ha ordinato gli spot secondo il loro effettivo successo di pubblico (C migliore di B migliore di A). Quando interrogati sulla presunta efficacia degli spot, tuttavia, sia i "proprietari" di quegli stessi cervelli sia il gruppo di esperti, hanno concordato sul fatto che la serie di spot C sarebbe stata la meno efficace di tutte. Come dire: cervello batte focus group ed esperti 3 a 0! Ovvero, come conclude lo studio: «l'attività della corteccia mediale prefrontale predice significativamente il successo effettivo delle campagne pubblicitarie a livello della popolazione, mentre le intuizioni dei soggetti (e degli esperti) non lo fanno».
A quanto pare il nostro cervello sa delle cose di noi stessi che noi stessi non conosciamo. Le nostre reazioni (inconsapevoli) possono evidentemente divergere dalle nostre opinioni (consapevoli) e si dà il caso che le prime possano essere predittivamente più accurate delle seconde. Forse prima di buttare via i soldi per il prossimo focus group o altre celebrate tecniche di marketing, varrebbe la pena accendere lo scanner di risonanza magnetica e chiedere al cervello cosa ne pensa. Meno marketing e più neuroscienze, il cervello sembra dirci cosa lo persuade meglio di quanto ci dicano gli esperti di pubblicità. Facciamone buon uso. Matteo Motterlini e Martin Monti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Falk, E.B., Berkman, E.T., Mann,
T. Harrison, B. & Lieberman, M. D., Predicting persuasion-induced behavior change from the brain, Journal of Neuroscience, 30, 8421-8424, 2010
Falk, E. B., Berkman, E. T., Lieberman, M. D., From Neural Responses to Population Behavior: Neural Focus Group Predicts Population-Level
Media Effects, Psychological Science, 17 April, 2012
da Il Sole24Ore

http://www.cresa.eu/matteo


 

L’idea geniale colpisce così

Cosa avreste fatto se un collega vi avesse raccontato di avere scoperto una colla che non incolla? Dopo una consolatoria pacca sulla spalla, lo avreste probabilmente invitato a candidarsi per l'IgNobel (il riconoscimento per gli studi "scientifici" più stupidi. A meno che non aveste avuto l'hobby di cantare nel coro della chiesa. E soprattutto se ogni domenica non vi fosse capitato di affrontare il solito inconveniente: cercare frettolosamente i canti da eseguire tra le pagine del libro da cui, drammaticamente, si sono sfilati (anche questa volta!) tutti i pezzi di carta inseriti a mo' di segnalibro. «Non so se a causa di un sermone noioso o di un'epifania – racconta Arthur Fry – ma quel giorno pensai a come risolvere questo inconveniente».

Era nata l'idea del Post-it, i foglietti appiccicosi ma non troppo, tali da restare attaccati a pagine di un libro (e molto altro) senza rovinarle. La 3M che li produce a St. Paul in Minnesota, ha oggi 55mila differenti prodotti, circa uno per impiegato. Questo anche grazie all'istituzionalizzazione del processo di scoperta di Fry: gli spazi architettonici della 3M (ma anche di Pixar e di Google), per esempio, sono progettati affinché le persone, preferibilmente diverse tra loro per mansione e competenze, si imbattano di frequente con altre persone, così che il loro contatto o, meglio, la "frizione" tra loro, provochi "scintille". Ogni storia dietro a una nuova idea è diversa, ma ogni creazione è uguale: «Non c'era niente; ora c'è qualcosa. È come una magia». Una magia i cui segreti intende svelare Imagine. How creativity works, il nuovo libro di Jonah Lehrer, attraverso il resoconto di esperimenti neuroscientifici e storie esemplari; da Bob Dylan, al citato Arthur Fry, da Keith Richards a Milton Glaser, da Yo Yo Ma e Clay Marzo (impareggiabile surfista con sindrome di Asperger, non perdetevi la sua storia). Cosa accadde dunque ad Arthur Fry in quel preciso momento in chiesa? E Nel cervello di Bob Dylan (questo il titolo del primo capitolo) quando, di getto, in pochi minuti, scrisse Like a Rolling Stone?

I momenti di rivelazione (insight) funzionerebbero più o meno così. Ci si imbatte in un problema che ci ossessiona. Si analizzano tutte le possibili soluzioni. Frustrati, dopo averci davvero provato ostinatamente (è decisivo) ci si blocca. Non si vede via d'uscita. Si abbandona. Si pensa ad altro. Passa di mente. Ci si rilassa con una doccia calda o, ancora meglio, sognando a occhi aperti, oppure passeggiando, pedalando, correndo (se non lo sapevate, il sudore agisce da lubrificante del cervello, e a quanto pare anche la marijuana). Ed ecco… «Aha!». Semplice e inesorabile. La soluzione giusta. Finalmente rilassati avete messo a tacere l'emisfero sinistro (in particolare l'area prefrontale dorsolaterale), che fino a quel momento aveva legittimamente cercato in modo analitico e coscienzioso (serve a questo) la soluzione senza vederla. Non è infatti quello il suo territorio. Il colpo di genio necessita piuttosto dell'attività dell'emisfero destro e di una specifica area di esso: il giro superiore temporale anteriore, una piccola piega di tessuto un po' sopra l'orecchio (chi ce l'ha lesionata non capisce le barzellette e le metafore).

Quest'area si attiva intensamente pochi secondi (8 per l'esattezza) prima dell'epifania. È la lampadina di Archimede del cervello che illumina il collegamento tra la colla che non incolla e il segnalibro che resta al suo posto. È Like a Rolling Stone che viene «vomitata» (l'espressione è autobiografica) da Bob Dylan quando egli stesso aveva già deciso di abbandonare per sempre la scena. Il colpo di genio è inoltre anticipato dalla produzione di onde Alpha, che sono appunto indotte da attività rilassanti. E che vengono soppresse da caffeina, amfetamine, Ritalin, cocaina e altri stimolanti, cioè da quanto – e apparirà paradossale – migliori la concentrazione! Infatti essere concentrati sui dettagli è esattamente quello che non vogliamo, quando occorre trovare nuove relazioni tra elementi distanti tra loro.

Uno studio mostra che disattivare selettivamente la corteccia dorsolaterale prefrontale attraverso una stimolazione magnetica transcranica rende i soggetti del 40 per cento più efficaci nel risolvere puzzle creativi. Sorprendente, se si considera che, da uno studio di «Nature», il 20 per cento degli scienziati fa uso di droghe per migliorare le prestazioni intellettuali che agiscono fornendo proprio a quell'area una maggiore disponibilità di Dopamina. Come dire, puoi anche lavorare per otto ore filate ma difficilmente scoprirai qualcosa di nuovo.
Le vie della creatività così come quelle delle connessioni neurali sono infinite. E Lehrer conclude candidamente che «nonostante gli studi intelligenti e gli esperimenti più rigorosi, il nostro più essenziale talento mentale resta un mistero». In verità gli studi e gli esperimenti cui si riferisce non sono molti, e pochi quelli rigorosi. Le neuroscienze della creatività sono perlomeno immature, e nello specifico non tali da sostenere il peso dell'intero libro, che sta in piedi più per il seducente talento divulgativo dell'autore che per l'evidenza scientifica disponibile.
 

da Il Sole24Ore

http://www.cresa.eu/matteo