Dove eravamo rimasti, regia di Jonathan Demme

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doveRicki – che di giorno fa la cassiera di un supermercato e di sera si trasforma in cantante rock esibendosi con energia e passione contagiosa in un locale di periferia assieme a un gruppo di musicisti coi capelli bianchi – ha un passato di moglie di un uomo facoltoso (Kevin Kline: sempre un piacere ritrovarlo) col quale ha avuto tre figli, abbandonati per inseguire i suoi sogni d’arte. Ma quando la figlia Julie tenta di suicidarsi perché il marito l’ha mollata, il passato bussa alla porta di Ricki con il conto da saldare e alla fine il mondo ricco, luminoso e ordinato dell’ex marito si rivela freddo e finto mentre il suo, impresentabile e disordinato, si rivela autentico e capace di emozionarsi.

D’accordo, Dove eravamo rimasti sarà pure un concentrato di luoghi comuni, di ovvietà e di buonismo ma Meryl Streep nel ruolo di una cantante rock sul viale del tramonto è davvero superba e in effetti si guarda il resto del film – proprio così: la parte non musicale fa quasi da contorno a quella sul palco – aspettando che Meryl prenda la chitarra in mano e inizi a cantare, nella scena finale viene voglia di alzarsi dalla poltrona e di ballare e si esce dalla sala contenti e soddisfatti, il che non capita poi tanto spesso.

P.S. Sono in circolazione due film dei quali mi hanno parlato e sui quali mi sarebbe piaciuto scrivere, solo che (ancora) non li ho visti: sono Mission Impossible: Rogue Nation e Operazione U.N.C.L.E.

Un pensiero su “Dove eravamo rimasti, regia di Jonathan Demme

  1. pierfranco bianchetti

    Ricevo la palla e mi accingo a dirigermi verso la rete…..
    “Mission impossible: Rogue Nation” è un film gradevole per chi ama il genere. Tom Cruise con il viso di un ragazzino (saranno le diete, i massaggi, l’ alimentazione oppure semplicemente i trucchi del cinema super tecnologico che fa apparire belli anche coloro che non lo sono affatto!!), afferra lo sportello di un aereo in movimento senza essere spazzato via dalla violenza del decollo. Vabbè, passiamoci sopra. Però in un’intervista l’attore, che come si sa non vuole usare la controfigura, ha raccontato la sua insonnia la notte prima di girare la sequenza poi ripetuta ben sette volte…
    Complimenti. Intanto incassati una marea di quattrini grazie alla pellicola portati a casa dopo l’uscita nei cinema di mezzo mondo, il nostro Tom si accinge a girare un nuovo seguito. Buon per lui che ha conosciuto qualche anno fa momenti di difficoltà nella sua invidiabile carriera aggredito continuamente dalla stampa con l’ insinuazione della sua presunta omosessualità tenuta nascosta.
    E anche se fosse vero, chi se ne frega, sono affari suoi e di sua moglie al massimo (a proposito, a dicembre si risposa, mi pare per la quarta volta con la giovane assistente conosciuta sul set di uno dei suoi film. Auguri !).
    Chi ama l’avventura e le emozioni a buon prezzo non si perda quindi “Mission impossible” perchè promette due ore di divertimento. Così come “Operazione U.N.C.L.E” ispirato alla serie televisiva britannica realizzata tra il 1964 e il 1968 di grande successo anche grazie al periodo politico della distensione dei due blocchi dell’epoca, gli Usa e l’ Urss.
    Il film è già indicato come un cult per gli abiti indossati elegantemente dai due protagonisti, un agente segreto americano della CIA (Henry Cavill) di nome Napoleon Solo e da Ilya Kanyakin (Armie Hammer), collega del KGB e dell’affascinante ambientazione soprattutto romana, da Trinità dei Monti alle meravigliose terrazze con vista sui Fori Imperiali..
    I due, circondati da belle donne, stanno combattendo una vera e propria guerra contro una misteriosa organizzazione criminale.
    Produzione di lusso in grado di ricostruire con precisione il mondo di quegli anni utilizzando auto, vestiti, arredamenti anche grazie ad una fotografia di classe.
    Insomma due film piacevoli che ci riportano al cinema di genere così bistrattato in passato come alla fine degli anni Cinquanta quando i contestatori della Nouvelle Vague francese infierivano sul “cinèma de papa”, quello dei Duvivier, dei Carnè, dei Clouzot, dei Clair, ecc., rei di girare drammi, commedie, gialli senza nerbo (secondo Godard e soci).
    Qualche anno dopo Truffaut chiese scusa agli anziani colleghi così ingiustamente maltrattati dai giovani ribelli aiutati dai feroci articoli della rivista “Cahiers du Cinéma”.
    Essi credevano invece in un cinema più contemporaneo incentrato sulla realtà della generazione parigina del dopoguerra. Dibattiti durissimi, scontri verbali e sulla carta stampata rimarranno memorabili.
    Altri tempi, altri ideali…….

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