Cinema: “Miele”, regia di Valeria Golino

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Ci vuole coraggio a debuttare alla regia parlando di morte, Valeria Golino lo ha avuto.

Irene – nome di servizio, Miele – porta la dolce morte a domicilio, su e giù per l’Italia laddove non c’è più speranza. Anche l’ingegner Grimaldi vuole farla finita, ma non perché sia un malato terminale; gode di ottima salute, si è solo stancato di vivere, nulla lo interessa più, tutto lo annoia, illusioni non ne ha e allora tanto meglio morire.

Irene, a seguito dell’incontro, è scossa da profondi interrogativi che rimettono la sua vita e le sue convinzioni in discussione.

Morte, moribondi, malattie, dolore, suicidio assistito, tutti argomenti respingenti: per quale motivo scegliere di vedere questo film? Molto semplice: perché Valeria Golino vuole soltanto far riflettere sulla morte e lo fa senza prendere alcuna posizione, senza straziare – si frena sempre un momento prima dello strazio – e senza puntare al melodramma e alle lacrime del pubblico;  come si diceva, la neoregista invita a posare pensiero e sguardo, e ci riesce benissimo pur inseguendo un po’ troppo la bella inquadratura.

Jasmine Trinca è Irene/Miele: brava e in parte.

Superlativo Carlo Cecchi – splendido e magnetico settantaquattrenne – nel ruolo del cinico e scostante ingegner Grimaldi.

Miele è l’unico titolo italiano invitato al Festival di Cannes 2013, nella sezione Un certain regard: congratulazioni e in bocca al lupo!

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