Cesare Pavese, La città semivuota

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Di tutta l'estate che trascorsi nella città semivuota non so proprio che dire. Se chiudo gli occhi, ecco che l'ombra ha ripreso le sue funzioni di freschezza, e le vie sono appunto questo, ombra e luce, in un passaggio alternato che investe e divora. Amavamo la sera, le nubi torride che pesano sulle case, l'ora calma. Del resto, anche la notte ci faceva l'effetto di quella breve penombra che inghiotte chi dal gran sole rientra in casa. C'incontravamo all'imbrunire, ed era già mattino, era un'altra giornata tranquilla. Ricordo che la città era tutta nostra – le case, gli alberi, i tavolini le botteghe. Nelle botteghe e sui banchi rivedo montagne di frutta. Ricordo il profumo caldo e le voci nelle vie. So dove cade a una cert'ora il riquadro del sole sul mattonato della stanza.

8 pensieri su “Cesare Pavese, La città semivuota

  1. manu52

    Questione di vicinanza …geografica! Pavese si è laureato dove mi sono laureata io, col padre della mia insegnante,insegnava nel liceo vicino,Torino è la mia città…. Anche se lui era langarolo,ha vissuto sempre a Torino, e credo l’abbia anche amata molto. Nessun merito,solo un grande amore letterario.

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  2. orckidia

    Hei, l’amore letterario E’ UN GRAN MERITO! In pochi ce l’hanno, e ai più dei pochi le nozioni sfuggono in breve tempo. Ecco, io son già una che se ricodo la narrazione perdo il titolo e viceversa… insomma, bene bene non ricordo mai nulla! 🙁

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  3. Anny ciaoooo!!!!

    Anch’io di un libro ho vivissimo ricordo delle emozioni che mi ha fatto scaturire. La trama, i personaggi, le situazioni spesso sfumano in dettagli. Purtroppo per me. Forse c’entra la mia emotività esasperata.

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