Quando il lavoro ci fa star bene

di

lavoro1

Chi dice che non è possibile lavorare e star bene?

Teoricamente le aziende, gli uffici e le stanze, troppo spesso, vengono vissuti come luoghi in cui domina un’arida razionalità, luoghi dove l’emotività e la vita privata non dovrebbero entrare. Così, aziende, uffici e stanze, diventano deserti affettivi, dove le emozioni si manifestano solo sotto forma di conflitti, competizioni e aggressività. Credo che sia per questo, che oggi, troppo spesso sul lavoro si sta male. Di solito, di fronte a questi temi, prevale lo scetticismo: quanti stanno bene sul lavoro? Chi non ha vissuto esperienze ruvide, esperienze che hanno ferito? E facile pensare che il problema stia nel carattere di chi ci comanda, nelle dinamiche del gruppo che ci circonda. Facile pensarsi anche soli, o pensare che siamo gli unici a vivere così: soffrire per come ci si sente costretti a lavorare. Eppure c’è un universo che si muove sottotraccia, c’è un mondo di emozioni sempre vive e presenti, sotto la crosta fredda della razionalità.

Si può quindi lavorare bene? Ci può essere un modo diverso che ci consenta di essere più soddisfatti e meno delusi? Forse non ce ne rendiamo conto, ma siamo noi stessi ad aderire alle negazioni di emozioni e affetti. Credo che ogni situazione di lavoro nasconda un mondo di affetti e di emozioni sempre in gioco, sempre presente: occorre solo svelarlo! Perché stare bene è un diritto e, stando bene, si lavora meglio. Il lavoro ha sempre fatto parte della nostra vita quotidiana e pensare che la vita personale e quella lavorativa siano cose distinte è assurdo. Il lavoro coinvolge le persone, influenza l’umore e i rapporti interpersonali, condizionando proprio la nostra esistenza. Pensiamo che cosa hanno in comune il mondo del lavoro e quello degli affetti: incomincerei proprio dalla parola “bene”. C’è il bene che si vuole alla famiglia, i beni durevoli, i beni mobili e immobili. Poi ci sono frasi come “ho paura di perderti” oppure “quell’incontro è stato un fallimento”. Insomma “fallimento, perdita” sono parole economiche che però vengono usate nella sfera delle relazioni. Le parole sono le madri delle cose, dicono l’origine e il senso di ciò che definiscono, perché sono tracce, orme, carte da decifrare per orientarsi. Sono segni, sono fili invisibili che legano le persone.

 

Mi è sempre piaciuto lavorare, non perché ne avevo di bisogno, ma perché ho sempre pensato che era l’unico modo per esprimere me stessa dando un significato alla mia vita. A distanza di anni (e di contesto) lavoro ancora…cosa penso? Che lo amo ancor di più perché mi sta dando ancora l’opportunità di mettermi alla prova, di tessere e vivere relazioni stimolanti. Soprattutto mi dà la possibilità di investire sulla mia vita, “acquistando la capacità di essere ciò che sono, qui, dove sono”. Ho scelto il mio progetto di vita: quella cosa che mi accende e che mi piace fare è quella particolare caratteristica del mio essere che, quando vive, mi porta energia e piacere, è la mia specificità che quando ho la capacità di mostrarla, mi produce il piacere di libertà. Non si tratta di missione, ma vale sempre la pena inseguire questa direzione!

Buon lavoro a tutti!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *