Archivio dell'autore: Sandra Artom

Addio a Roma

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Un affascinante lavoro di ricerca, scritto in forma di romanzo è “Addio a Roma”, il libro di Sandra Petrignani (Neri Pozza), scrittrice e giornalista di talento. La Roma intellettuale e artistica, dagli Anni Cinquanta fino al decadimento dei primi Anni Settanta, è ricostruita attraverso i testi dell’epoca e le testimonianze di alcuni protagonisti, in un racconto coinvolgente delle biografie dei protagonisti e degli eventi che hanno caratterizzato la vita culturale e politica della capitale: Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia, Natalia Ginzburg, Elsa Morante, Alberto Arbasino, Italo Calvino (che fa la spola fra Torino e Roma), i pittori della vecchia generazione come Giorgio De Chirico e Renato Guttuso che si scontrano con la nuova generazione di Mario Schifano, Tano Festa, FrancoAngeli, Pino Pascali e Giosetta Fioroni e sopra tutti la magnetica bellezza e l’intraprendenza di una soprintendente Della Galleria D’Arte Moderna come Palma Bucarelli che, con le sue mostre d’avanguardia, portò in Italia mostri sacri come Picasso e lanciò tra gli altri, le contestate (allora) opere di Alberto Burri. E ancora, due protagonisti di quegli anni come Ennio Flaiano e Federico Fellini: una coppia formidabile di sceneggiatore e regista, protagonisti di una collaborazione e amicizia che ha fasi intermittenti con clamorose rotture e rappacificazioni.
Attorno ai protagonisti italiani, alcuni scrittori stranieri come la grande Ingeborg Bachman, che a Roma morirà vittima di un tragico incidente, e uno scrittore americano alle prime armi, il giovane Truman Capote, ma anche una famosa rockstar come Marianne Faithfull, che s’innamora di Schifano, ma poi ritorna dal fedifrago Mick Jagger. Gli amori e i litigi fra le celebri coppie di quegli anni sono al centro dei pettegolezzi del milieu intellettuale: Moravia e Elsa Morante, Pasolini e Ninetto Davoli, l’amore turbolento fra Italo Calvino e l’attrice-scrittrice Elsa De Giorgi, Giosetta Fioroni e lo scrittore Goffredo Parise, l’attrice Paola Pitagora e il pittore Mambor…Paola Pitagora è anche l’amica (d’invenzione) dell’unico personaggio di fantasia, Nina, una ragazza trasteverina che, attraverso l’incontro con Palma Bucarelli e altri protagonisti del tempo, si trasforma in poetessa e scrittrice e costituisce una sorta di filo rosso nella ricostruzione d’epoca. E’ forse l’unica nota stonata del libro, che si legge con grande piacere.

Limonov

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Si parla molto di “Limonov” (Adelphi), il libro di Emmanuel Carrère, che è scritto in forma di
romanzo biografico, ma anche d’inchiesta giornalistica: una storia appassionante che spazia dalla Russia a New York, da Parigi alla ex Jugoslavia. Al centro del racconto, è uno scrittore vivente di origine ucraina, sorprendente personaggio, un po’ teppista,  provocatore, avventuriero e anche leader di un incredibile partito nazional-bolscevico.
Eduard Limonov finora era noto solo all’interno del mondo sovietico come scrittore di libri
autobiografici, che raccontano le sue numerose avventure picaresche, o come fondatore di un giornale scandalistico, “Limonka”, o come antagonista di Putin a capo del piccolo partito nazibol nel quale ha militato, per qualche tempo, anche il campione di scacchi Kasparov.
Emmanuel Carrère, sceneggiatore e scrittore francese, figlio di una nota sovietologa, Hélène Carrère d’Encausse, aveva conosciuto Limonov durante il suo soggiorno a Parigi, avvenuto dopo che l’allora esule sovietico aveva passato un burrascoso periodo a New York, dove aveva fatto la fame ed era anche finito a fare il cameriere di un ricco americano. Poi l’ha incontrato più volte in Russia, ed è riuscito a ricostruire, in maniera avvincente, le sue incredibili avventure, attraverso i libri dello stesso Limonov. Politicamente completamente scorretto, ma mai banale, sfrenato sessualmente con amori d’ambo i sessi, ubriacone, violento, ma talvolta capace di gentilezze, combattente volontario sul complicato fronte serbo-croato, incarcerato in Russia dove si trasforma
in una sorta di santone, Limonov non si piega mai e s’inventa ogni volta una nuova vita, una nuova avventura.
Intorno al protagonista, Carrère parla di alcune sue esperienze e soprattutto ricostruisce lo scenario sociale e politico nel quale si muove Limonov. Ora i suoi libri (di Limonov intendo) come “Diario di un fallito” o “Il libro dell’acqua”(che sembra il suo migliore), pubblicati in Italia da piccoli editori, stanno tornando in auge, ma se ancora non l’avete letto, leggete Carrère, che per questo libro ha meritato il premio Renaudot.

Salomé e Freud

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Non è un libro per tutti, ma penso possa attrarre, innanzitutto, chi s’interessa di psicoanalisi, ma anche chi vuole approfondire le questioni che riguardano il mondo femminile/femminista del secolo scorso. Due mostri sacri, Lou Andreas-Salomé e Anna Freud, si conoscono a casa del padre di Anna, il fondatore della psicoanalisi, e, malgrado, la differenza d’età (Lou all’epoca ha 61 anni e Anna 27) diventano grandi amiche.

Legami e libertà, a cura di Francesca Molfino, edito dalla Tartaruga, raccoglie l’epistolario, durato molti anni (dal 1922 al 1937), fra le due donne, e fra due Paesi, la Germania e l’Austria. Uno scambio di lettere, che offre uno scenario assai intrigante, fra pubblico e privato; fra le nuove intuizioni della psicoanalisi e il racconto della grave crisi economica che ha colpito la Germania; il nascente nazismo e la Vienna ebraica, al culmine del suo successo, prima che le croci uncinate la seppelliscano.

Le lettere appassionate fra l’affascinante Lou, donna intelligentissima, scrittrice feconda e psicoanalista stimata dal padre di Anna e lei, la figlia più devota al padre, l’unica a seguire le sue tracce e a divenire psicoanalista, sono dense di racconti, di personaggi, di sogni, di nuove teorie, ma anche di particolari femminili, come i complicati vestiti fatti a maglia dalla devota Anna per Lou.

Mentre Lou, pur restando accanto al marito, è al centro di amori appassionati, Anna nasconde, anche a se stessa la sua diversità, che negli anni diventerà palese quando l’americana Doroty entrerà nella sua vita per restarci fino alla fine. Evidentemente il padre, che, trasgredendo le sue stesse leggi, era il suo analista, qualche danno l’aveva fatto.

Gli interventi puntuali della curatrice, Francesca Molfino, psicoanalista di formazione freudiana, spiegano e contestualizzano le teorie che si stavano sviluppando in quegli anni e raccontano i personaggi che ruotavano attorno alle due donne e soprattutto a lui, Sigmund Freud.

I depositi della galleria Borghese

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I depositi della Galleria Borghese a Roma sono aperti al pubblico dal 2005, ma pochi lo sanno. Qualche giorno fa ne ha parlato il telegiornale regionale del Lazio e mi sono subito incuriosita. Basta andare alla Galleria Borghese, pagare 2 euro e prenotarsi per una delle due visite guidate del pomeriggio (alle 15 e alle 16) e, con un’addetta della Galleria, salire in un piccolo ascensore tondo nei piani alti, e visitare i depositi  dove sono conservati i quadri, che appartengono alla collezione dei principi Borghese, ma non hanno trovato posto nella Galleria, affollata com’è di capolavori.

I depositi, in realtà, sono sale molto ordinate, con pareti coperte di tele e belle poltrone dorate appoggiate alle pareti. I quadri non sono tutti capolavori, ma comunque di qualità e sono opere di maestri del Cinque-Seicento, italiani e fiamminghi, di autori spesso noti, come Paris Bordon, Sebastiano del Piombo, il Cavalier d’Arpino e di pittrici pregevolissime come Lavinia Fontana e Sofonisba Anguissola. Alcune sono bellissime copie d’epoca di grandi come il Correggio o Tiziano e poi ci sono piccoli capolavori, quadri di ridotte dimensioni: sognanti paesaggi fiamminghi  e preziose opere su pietra dura, come quella dei celebri artigiani fiorentini, che ritrae un uccello rosso. Fra questi, uno mi ha colpito, in particolare, per la sua bellezza e originalità: l’autore si chiama Orbetto (1578-1689) e dipinge su lavagna, una pietra, come si sa nera, dalla quale emerge il corpo magnifico di un Cristo nel sepolcro, sorretto da una pia donna, appena illuminato dalla fiamma di una candela. Altra curiosità, una bellissima copia di un quadro del Correggio che ritrae una giovane Maddalena china su un libro, combinazione davvero insolita. Insomma se venite a Roma, tra le tante cose da vedere c’è questa, una visita per nulla affollata (noi eravamo in tre) mentre per la Galleria, da vedere comunque, bisogna prenotarsi per tempo.

Sinfonia di Leningrado

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Sarah Quigley è una delle più note scrittrici della Nuova Zelanda, e questo suo “Sinfonia di
Leningrado”(Neri Pozza), dopo essere stato in vetta alle classifiche in patria, è pubblicato ora in vari Paesi. Da noi sta avendo un certo successo, soprattutto per il passaparola di lettori e lettrici che, come me, hanno letto le 380 pagine del libro tutto d’un fiato.
E’ stato definito, una “musical fiction” perché, oltre a una toccante ricostruzione storica dell’assedio di Leningrado da parte delle truppe naziste, è il racconto della rocambolesca composizione della settima sinfonia di Shostakovic, dedicata al martirio della sua città. Al centro del romanzo, oltre al geniale compositore e alla sua famiglia, un gruppo di artisti, musicologi, direttori d’orchestra, violinisti e ballerine classiche, la crème culturale e musicale della città, che ha cambiato più volte nome (oggi è tornata a chiamarsi San Pietroburgo), ma è sempre la più affascinante della Russia.
L’azione si svolge dalla primavera-estate del 1941, all’estate 1942, quando le truppe tedesche stringono d’assedio la città, distruggendo molti edifici, mietendo vittime e riducendo alla fame gli eroici sopravvissuti. Gli esponenti più illustri, e fra questi il direttore dell’orchestra filarmonica Mravinski, vengono fatti evacuare in Siberia, ma il compositore più noto, Dmitri Shostakovic, mettendo a repentaglio la bella moglie Nina e i loro due figli, insiste a rimanere sotto le bombe tedesche, per comporre la sinfonia che celebrerà per sempre l’eroica resistenza della sua Leningrado. Rimane il timido e insicuro direttore dell’orchestra radiofonica, Karl Eliasberg, con un gruppo di orchestrali ormai esangui, decimati dalla fame e dalle bombe e l’amico violinista, Nicolaj Nicolaev che attende, sempre più sfiduciato, notizie della figlioletta che ha mandato da lontani parenti. Shostakovic e gli altri musicisti rimasti, sono costretti a scavare trincee e a fare la guardia di notte sul tetto del Conservatorio. Nelle poche ore libere, con le mani sanguinanti, continuano a suonare e a scrivere musica a lume di candela, in case sempre più devastate.
Alla fine, l’amore per la musica trionferà sulla brutalità della guerra: la sinfonia verrà eseguita dal fragile direttore e dai suoi eroici orchestrali e lo spartito di Shostakovic, inviato in maniera avventurosa negli Stati Uniti, darà vita a un concerto memorabile diretto da Arturo Toscanini .

Chi ti credi di essere

Alice Munro è, con Margaret Atwood, fra le più celebri scrittrici canadesi ed è soprattutto nota come autrice di splendidi racconti. “Chi ti credi di essere” (Einaudi), è invece un romanzo  (pubblicato in Canada nel 1977), scritto  come se fosse una raccolta di racconti che narrano la formazione di un unico personaggio, Rose, dall’infanzia in una povera cittadina dell’Ontario, fino alla sua carriera di attrice a Toronto.

L’infanzia misera con una formidabile matrigna Flo, amata e odiata, e un padre debole e nello stesso tempo violento, rendono Rose, avida lettrice, a ribellarsi e a cercare, attraverso la cultura, una fuga verso una vita migliore, che la riscatti dall’indigenza e la volgarità.

Riuscirà nel suo intento, ma rimarrà sola, malgrado i numerosi amori e il matrimonio con un ricco dottorando di Storia, conosciuto all’Università. Anche la saggia figlia Anna, dopo la separazione dal marito, convive brevemente con la madre, ma la sua vita un po’ raminga e disordinatala, la induce a tornare dal padre, che si è risposato e vive agiatamente. L’amore per la vita e l’illusione di un amore ricambiato e stabile, fanno commettere a Rose molti errori e quando, donna matura torna alla povera casa, per convincere la vecchia matrigna ad andare in una casa di riposo, ripensa al suo passato e si rende conto che, forse, l’unico uomo che avrebbe potuto amare era morto e che forse era stato un errore fuggire da quel luogo.

“Chi ti credi di essere” è un libro amaro, appassionante e divertente, scritto magistralmente da un’autrice di qualità.

I regali che vorrei ricevere

Cara Ale, a Natale vorrei ricevere un Kindle per poter leggere  nuovi libri senza aumentare quelli della mia vastissima libreria dove ormai gli spazi scarseggiano; un biglietto d’andata e ritorno per Istanbul, la città in cui sempre voglio tornare per sognare, e da ultimo, ma mi rendo conto che nessuno me la potrà donare, la bella notizia che Berlusconi è partito per il Kenya con la voglia di restarci, per sempre.

Il sale della vita

Un’antropologa francese, allieva di Claude Lévi Strauss, Françoise Héritier, ha scritto un libretto che inneggia alla felicità che scorre nelle nostre vite, brevi attimi di grazia che spesso ci sfuggono. S’intitola Il sale della vita (Rizzoli) scritto non da scienziata, ma da donna dalla lunga esperienza ( Héritier è nata nel 1933), come un divertissement che si legge tutto d’un fiato.
A far scaturire il monologo interiore, che elenca i tanti momenti gioiosi dell’esistenza, è una cartolina che l’autrice riceve da un illustre medico, suo amico, dalla Scozia. Il testo diceva :”La mia settimana “rubata” di vacanze in Scozia.” Rubata a chi si chiede Françoise? Era lui a derubare se stesso, col suo lavoro ossessivo, tutto dedito alla cura degli altri, con il perenne senso di colpa di non fare mai abbastanza, perdendosi il bello della vita. Mentre gli risponde in questi termini, l’ Hèritier comincia a interrogarsi seriamente di che cosa è fatto “il sale della vita” e comincia a elencare, in una sorta di lungo monologo, tutti quei momenti della sua esistenza fatti di gioia e di leggerezza, evitando di parlare della sua vita privata e quindi del suo lavoro intellettuale di antropologa africanista (anche se l’Africa qui e là fa capolino), ma anche dell’amore che pure ha avuto tanta parte nella sua vita.
“C’è una leggerezza, una grazia tutta speciale nel puro e semplice fatto di esistere, al di là di tutti gli impegni professionali, dei sentimenti intensi, delle lotte politiche e umane: di questo, e di nient’altro, mi sono sforzata di parlare. Di quel piccolo “di più” che si offre in dono a tutti noi, e che chiamerò il sale della vita” scrive.
Una ventata di ottimismo in cui anche noi ritroviamo i nostri attimi dimenticati o che viviamo senza gioia, distratti dalle incombenze della vita, ma ai quali, dopo aver letto questo libretto faremo più attenzione. Un libro da regalare agli amici troppo occupati a riempire la vita di doveri o comunque da cose che si devono per forza fare.
 

L’amore in un clima freddo

Chi ha amato la serie televisiva “Downton Abbey”, trasmessa da Rai 2, che tornerà prossimamente con la seconda serie, non può che divertirsi con “L’amore in un clima freddo”di Nancy Mitford pubblicato da Adelphi. E’ un romanzo del 1949 e l’autrice è una delle famose sorelle, figlie del barone Redsdale, celebri nel bene e nel male perché due di loro furono sospettate di essere filonaziste. Nancy, la maggiore, fu autrice di successo, di otto romanzi e di quattro acclamate biografie e visse in Francia dal 1946 fino alla morte nel 1973. I suoi libri riflettono l’ambiente aristocratico fra le due sponde della Manica raccontato con velenoso humour. Castelli ridondanti opere d’arte, dove s’intrecciano amori, tradimenti e scandali tra fanciulle in fiore, gentlemen in tweed, vecchie dame pettegole e polverose altezze reali.
Ambientato fra le due guerre, “L’amore in un clima freddo”ruota attorno alla coppia dei Montdore, ricchissimi e sciocchi (come si conviene) di ritorno dall’India dove il conte è stato Viceré. I due hanno una figlia, Leopoldina detta Polly in età da marito, algida e bellissima che sarà al centro dello scandalo. L’alter ego dell’autrice si chiama invece Fanny, aristocratica con genitori scapestrati, che è stata allevata dagli zii ed è amica e c&œlig;tanea di Polly. E’ lei che racconta le vicende con grande ironia e distacco e si presume che molte delle vicende narrate siano state vissute in prima persona da Nancy Mitford. Di lei, durante questa caldissima estate, ho trovato un vecchio libro nella biblioteca di campagna di amici, intitolato “La moglie inglese” pubblicato nel 1953 da Bompiani.
Il titolo inglese è “The Blessing” e si trova su Amazon, ma sicuramente sarà riproposto se questo
ritorno della Mitford avrà successo. E’ altrettanto divertente, l’ambiente è lo stesso, ma i suoi strali questa volta colpiscono anche gli aristocratici francesi e i pregiudizi che dividono la loro società e quella inglese.
 

Tre amici

L’ultima raccolta di racconti dello scrittore isr&ælig;liano Amos Oz (“Tra amici”, Feltrinelli) è dedicata al mondo del kibbutz ed è ambientata negli Anni Cinquanta. Oz ha vissuto in un kibbutz per vent’anni ed è stato uno dei pionieri che hanno creduto in quell’esperienza socialista e comunitaria. I racconti hanno per protagonisti, di volta in volta, personaggi che ritornano nelle storie narrate, creando un affresco di quel mondo ricordato dall’autore con nostalgia e una certa melanconia. Un mondo fatto di principi, di lavoro condiviso, di utopie che spesso pongono problemi ai membri della comunità, composta di uomini donne e bambini che vengono da mondi diversi, ma sono uniti dalla speranza di creare un modo di vivere più giusto e paritario.
Coppie che si lasciano e soffrono in silenzio, mentre altre se ne formano, ragazze giovani che s’innamorano dell’insegnante più vecchio ma affascinante, bambini che non sopportano di lasciare i genitori per andare a dormire nella casa comune dedicata a loro, ragazzi che sognano un futuro fuori dal kibbutz, mentre altri rimangono, convinti di fare la cosa giusta. C’è il giardiniere timido che cerca di consolare una donna abbandonata senza volersi impegnare, c’è il bellissimo personaggio del calzolaio anarchico, malato ai polmoni, che fino all’ultimo vuole mantenere il suo impegno di lavoro e vuole insegnare l’esperanto ai membri della comunità perché sogna un mondo nuovo, senza lingue diverse. Oz riesce a raccontare in maniera coinvolgente e realistica un’utopia tramontata, con la profondità e nello stesso tempo la leggerezza di chi sa penetrare i sentimenti senza mai cadere nel sentimentalismo.

 

Lo Strega di Sandra Artom – Il silenzio dell’onda

Gianrico Carofiglio, magistrato, scrittore e senatore del Partito Democratico, è autore di noir di successo. Il suo ultimo libro, Il silenzio dell’onda (Rizzoli),  non è un romanzo di genere, anzi si potrebbe definire un romanzo psicologico con l’aggiunta di un tocco di realismo magico. Il libro si divide in due: i capitoli che narrano la storia di Roberto, ex agente dei Servizi sotto copertura, che per anni è stato infiltrato fra i trafficanti internazionali di droga, un lavoro che l’ha fatto crollare psichicamente e quindi si trova a dover incontrare due volte alla settimana uno psicoanalista, sono inframmezzati dai racconti e dai sogni di un ragazzino undicenne, Giacomo, ossessionato da una bella compagna di scuola, Ginevra. I due racconti corrono paralleli e solo alla fine s’incontrano in un finale mozzafiato, che aiuterà i due protagonisti, l’ex carabiniere e il ragazzino, a ritrovare se stessi per affrontare il futuro.
Roberto, che ha dovuto lasciare i Servizi per curarsi, era cresciuto negli Usa, dove con il padre era diventato un abile surfista (da qui il titolo, che si riferisce alla grande onda oceanica che bisogna imparare a cavalcare senza farsi travolgere), con l’aiuto di uno psicanalista, non troppo ortodosso, a poco a poco riemerge dall’abisso depressivo, aiutato anche dall’incontro con una donna, Emma, anche lei oppressa dal senso di colpa. Alla storia, narrata con la perizia di un abile giallista, fa da sfondo una Roma un po’ ipnotica attraversata da Roberto in lunghe passeggiate.
 

Lo Strega di Sandra Artom – Inseparabili

Inseparabili di Alessandro Piperno è il vincitore del premio Strega  E' un romanzo-romanzo, anzi la continuazione di una saga, quella della famiglia Pontecorvo, iniziata con Persecuzione, anche se il lettore, che non ha letto il primo, viene messo a conoscenza degli antefatti e ha di fronte un’opera del tutto autonoma.
Due fratelli, Filippo e Samuel, sono inseparabili come i pappagallini che non sanno vivere separati, ma sono diversissimi: il primo è un indolente pasticcione, sposato a una miliardaria, che è anche una capricciosa attricetta; il secondo è un giovane votato al successo, brillante negli studi e nel lavoro. Filippo ha molte avventure erotiche, mentre il fratello ha una sessualità complicata. Alle spalle hanno una madre, Rachel, tipica mamele protettiva ebraica e un padre, morto tragicamente, dopo aver subito l’onta di un processo per pedofilia. Il destino dei due fratelli viene capovolto dall’improvviso, enorme successo internazionale di Filippo, che ha trasformato un suo hobby, il disegno, in un cartone animato, intitolato “Erode e i suoi pargoli”, intriso di ricordi personali. Mentre Filippo è inseguito dai Media di tutto il mondo, Filippo subisce una catastrofe finanziaria per un affare mal gestito.
Il libro è ambientato ai giorni nostri e la storia della famiglia Pontecorvo, che lotta fra amore, rancore, lutto e solitudine, è molto coinvolgente e non manca il tocco di graffiante ironia, tipico di questo autore.
 

Lo Strega di Sandra Artom – Qualcosa di scritto

Sono una degli oltre 400 votanti del Premio Strega e sono abituata a leggere doverosamente i libri proposti dalla prima giuria, quei 12 libri che concorrono alle due votazioni. La prima è già avvenuta e dei cinque finalisti cercherò di farvi una breve presentazione.
Comincio da quello che ha ottenuto più consensi nella rosa della cinquina, fra cui sarà scelto il 5 luglio il vincitore, e che anch’io ho votato.
Qualcosa di scritto di Emanuele Trevi (Ponte alle Grazie) è un libro interessante, innanzitutto per la struttura narrativa: non è un romanzo, non è un’autobiografia, non è un saggio, ma è tutte queste cose insieme. L’autore era un giovane trentenne, quando, negli Anni Novanta, trovò lavoro al Fondo Pasolini diretto dalla battagliera Laura Betti, che si era eletta erede spirituale dello scrittore friulano. “Qualcosa di scritto” racconta quell’esperienza e molto altro, infatti, da una parte è una sorta di romanzo di formazione del giovane Trevi, che si trova ad affrontare la figura ingombrante, in tutti sensi, di Laura Betti, da lui chiamata senza mezzi termini “la pazza”, che lo ricambia col soprannome insultante di “zoccoletta” ; dall’altra, affronta l’intrico coinvolgente delle pagine di “Petrolio”( che fu pubblicato nel ’92) di cui l’autore da un’interpretazione illuminante. Un libro, affascinante, molto ben scritto, con un’ironia graffiante, che fa di Laura Betti un personaggio indimenticabile.
Sandra Artom
 

Più in alto del mare

Francesca Melandri, è stata sceneggiatrice e documentarista prima di fare il suo esordio, nel 2010, nella narrativa con Eva dorme, un libro ambientato in Alto Adige, che è stato tradotto in varie lingue e ha vinto molti premi. Ora ha pubblicato per Rizzoli Più alto del mare, un romanzo che è frutto di una documentata ricerca sugli anni di piombo e sulle testimonianze di ex guardie carcerarie, ex terroristi, ex detenuti di carceri di massima sicurezza, magistrati e parenti di vittime della violenza politica di quegli anni.
Più alto del mare si svolge in un’isola-carcere dalla natura bellissima e racconta della visita di una moglie, Luisa, a un marito violento e assassino, e di un padre, Paolo, che va incontrare il figlio terrorista politico. Un’improvvisa mareggiata trattiene i due visitatori per una notte sull’isola, dove Paolo e Luisa, provenienti da mondi completamente diversi, si conoscono e condividono la pena che attraversa le loro vite . Tra loro nasce un breve incontro, che è insieme d’amore e di pietà reciproca, senza però finire in un banale lieto fine. Accanto ai due protagonisti, c’è la figura di un secondino e di sua moglie, che devono affrontare tutte le difficoltà connesse a un mestiere veramente difficile, con violenze da nascondere anche a se stessi e pietà umane. Un racconto, quello della Melandri, coinvolgente, drammatico, di struggente malinconia, ma anche impegnato a capire quegli anni che hanno sconvolto il nostro P&ælig;se.

Julie Otsuka, Venivamo tutte per mare

Un piccolo libro di un’autrice americana di origine giapponese, Julie Otsuka, mi ha fatto conoscere una realtà che ignoravo: la migrazione giapponese negli Stati Uniti nei primi anni del Novecento. “Venivamo tutte per mare” edito da Bollati Boringhieri, racconta di un gruppo di giovani nipponiche, mandate via nave negli Usa, per sposare uomini del loro P&ælig;se che lavoravano in America del Nord.
Illuse da belle foto in posa e da racconti spesso ingannevoli sulla loro attività negli States, le povere ragazze giapponesi, scoprirono al loro arrivo che i “mariti” in realtà erano poveri contadini o operai che, più che una moglie, erano bisognosi di forza lavoro gratuita. Il racconto della dura vita di queste giovani donne, che se non lavoravano nei campi per coltivare frutta e verdura, andavano a fare le domestiche nelle ricche famiglie americane, è scritto in forma corale, con un “noi” al posto dell’io narrante. In questo soprattutto consiste l’originalità del libro, che in poche pagine descrive una dolorosa epopea, che, dopo l’attacco di Pearl Harbour da parte dei Giapponesi, sfocia in tragedia per quelle famiglie, ormai integrate, che vengono deportate in massa e perseguitate col sospetto che quei poveri onesti lavoratori siano delle spie nemiche.
In America questo libro ha avuto un gran successo di critica e ha ricevuto molti premi. Julie Otsuka è anche pittrice ed è laureata in Belle Arti alla Yale University.

 

Amber, un’eroina cinica e appassionata

Se avete voglia d’immergervi in un romanzone di quasi 900 pagine, che vi divertirà come la famosa serie di “Angelica marchesa degli Angeli” (ricordate i film pieni di avventure con la bella Michèle Mercier?), con un pizzico di Moll Flanders e un sapore di “Via col vento”, “Amber” fa al caso vostro. L’autrice, Kathleen Winsor, era una bella e modana signora che impalmò quattro mariti tra i quali il famoso jazzista Artie Show, che prima di lei aveva fatto coppia con Lana Turner e Ava Gardner. Morta nel 2003, era diventata famosa per questo romanzo, che divenne un bestseller mondiale nel 1944, ma anche un “caso”, perché, ritenuto troppo scollacciato, fu vietato in quattordici Stati americani . L’edizione italiana risale al 1948 e ora la ripropone Neri Pozza con un nuovo marchio, Superbeat, che pubblica in edizione economica alcuni successi del passato.
La Winsor era una studiosa della Restaurazione inglese, infatti, la storia della irresistibile ascesa dell’orfanella Amber si svolge nell’Inghilterra seicentesca, al tempo dei puritani di Cromwell prima e dell’allegro e tumultuoso regno di Carlo II Stuart poi.
Amber, eroina cinica, opportunista e senza scrupoli morali di sorta, ma anche veramente innamorata di un solo uomo, passa dalla quiete campestre ai fasti londinesi, dalla tremenda prigione di Newgate al colorito mondo dello spettacolo, dalla ricchezza borghese alla nobiltà della corte, sempre mantenendo i suoi principi, che potrebbero definirsi proto-femministi. Il libro, scritto come un feuilleton, ma con veridicità storica e d’ambientazione, ha un ritmo straordinario: non ci si annoia mai durante la lunga lettura e i colpi di scena si susseguono fino alla fine. Rinuncerete a un po’ di tv ma ne varrà la pena: sappiatemi dire.
 

Natale di carta

Vorrei consigliarvi un po’ di buoni libri, di eccellenti autori, per regalare e regalarvi ore di piacevole lettura durante queste feste. In libreria troverete, appena uscito da Einaudi, “Troppa felicità” una raccolta di racconti di una straordinaria scrittrice canadese, Alice Munro, e se cercate anche le sue precedenti raccolte, sempre edite da Einaudi, sono tutte belle (soprattutto “Nemico, amico, amante”). Un altro autore, che molti di voi conosceranno, è Erri De Luca, l’ultimo titolo apparso in libreria è “I pesci non chiudono gli occhi” e fra quelli del recente passato io ho amato molto”Il peso della farfalla” (oltretutto i titoli sono bellissimi!). C’è poi un’autrice-attrice che sicuramente amate: Franca Valeri una novantenne sempre giovane, con un intramontabile sense of humour, che dopo il delizioso “Bugiarda no, reticente” (Einaudi), si è appena cimentata in un “Diario delle fanciulle” con la ragazzaccia Luciana Litizzetto.
Invece Edmund de Waal, forse non vi dice niente, anche se i giornali ne hanno parlato come un “caso”: è un notissimo ceramista, critico e storico dell’arte che, in “Un’eredità di avorio e ambra” (Bollati Boringhieri), racconta la fantastica storia di una famiglia e di una preziosa collezione.
Amos Oz è uno degli scrittori isr&ælig;liani più noti e amati (se ancora non avete letto la sua autobiografia, intitolata “Una storia di amore e di tenebra” uscita qualche anno fa, ma penso ripubblicata in pocket dal suo editore, Feltrinelli, compratela) ora sono state appena pubblicate tre sue novelle, raccolte ne “Il monte del cattivo consiglio”.
Infine ci sono autori del passato, che Adelphi va pubblicando da anni, primo fra tutti uno scrittore che amo particolarmente, notissimo alla gran parte dei lettori e che va letto, non solo per i suoi fantastici gialli, ma soprattutto per i romanzi: Georges Simenon di cui è appena uscito “Il gatto”. Poi c’é Irène Némirovski, di lei vi consiglio soprattutto “David Golder”, “Il ballo” e “Jezabel”. Ora è appena uscito, sempre da Adelphi, che è il suo editore, “Il signore delle anime”, che non ho ancora letto, ma sarà sicuramente di qualità.
 

Magda Szabò

Se non l’avete sentita ancora nominare, voglio segnalarvi una scrittrice davvero notevole: si tratta di Magda Szabò, considerata la maggiore autrice ungherese, nata nel 1917 e morta nel 2007. E’ da poco uscito, da Einaudi Il vecchio pozzo, ma secondo me non è il suo libro migliore, dovete cercare, sempre presso Einaudi La porta (2005), La ballata di Iza (2006), Via Katalin (2008) e soprattutto L’altra Eszeter (2009), ora pubblicati in tascabile.
Sono libri affascinanti, che parlano di un mondo che conosciamo poco, quello dell’Ungheria, con indimenticabili personaggi soprattutto femminili. Qualche anno fa un’amica mi ha consigliato “La porta” e sono rimasta stregata dal personaggio incredibile di Emerenc, una misteriosa donna delle pulizie. Poi via via ho cercato tutto quello che della Szabò era stato tradotto in Italia e non sono rimasta delusa, anzi è stato un crescendo. Quindi, se dopo aver letto qualcuno dei suoi libri, sarete d’accordo con me, fatemelo sapere.