Archivio dell'autore: Cristina D.

Spaghetti alla puttanesca

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È un piatto della cucina napoletana detto anche aulive e cchjapparielle (olive e capperi). Si prepara con un sugo a base di pomodoro, olio d’oliva, aglio, olive nere di Gaeta, capperi e origano.

Esistono varie interpretazioni sulle origini del nome. A me piace riportare quella di Arthur Schwartz, nel suo libro Naples at table.

« … Per quanto riguarda la sua origine etimologica, (il termine puttanesca) è stato oggetto degli sforzi di immaginazione di molti studiosi, che hanno tentato in ogni modo di trovare la soluzione all’enigma. Alcuni dicono che il nome di questa ricetta derivò, all’inizio del secolo, dal proprietario di una casa di appuntamenti nei Quartieri Spagnoli, che era solito rifocillare i propri ospiti con questo piatto, sfruttandone la rapidità e facilità di preparazione. Altri fanno riferimento agli indumenti intimi delle ragazze della casa che, per attirare e allettare l’occhio del cliente, indossavano probabilmente biancheria di ogni tipo, di colori vistosi e ricca di promettenti trasparenze. I tanti colori di questo abbigliamento si ritroverebbero nell’omonima salsa: il verde del prezzemolo, il rosso dei pomodori, il viola scuro delle olive, il grigio-verde dei capperi, la tinta granata dei peperoncini. Altri sostengono che il nome sia da attribuire alla fantasia di una ragazza di vita Yvette la Francese, che si ispirò alle proprie origini provenzali. Yvette, probabilmente, non era dotata solo di fantasia, ma anche di senso dell’umorismo e di un’ironia alquanto caustica, che forse sfruttò per celebrare, attraverso il nome di questo piatto, la professione più antica del mondo… ».

Si tratta comunque di un piatto molto piccante quindi, dicono, afrodisiaco: le olive di Gaeta, nere come gli occhi sensuali delle donne del sud, i capperi verdi come la voglia di conquistarle, il pomodoro rosso come la passione dell’amore, questi ingredienti si sono mescolati con gli spaghetti o le linguine.

Questa è la ricetta della puttanesca:

Ingredienti: olio extra vergine d’oliva, uno spicchio d’aglio schiacciato, il peperoncino piccante a volontà, le olive di Gaeta, i capperi salati (non quelli sottaceto) e i pomodorini pachino a pezzettini o anche la polpa dei pelati tagliati a pezzettini.

Procedura:

Scaldare l’olio con l’aglio e farlo dorare insieme al peperoncino, aggiungere poi le olive, i capperi ben lavati per togliere il sale, quando il tutto è ben soffritto aggiungere il pomodoro a pezzetti e girare con il cucchiaio di legno e mettere il sale, non troppo perché i capperi sono già salati. Si fa cuocere il tutto per circa un’ora continuando a girare perché non si attacchi. Nel frattempo mettere sul fuoco la pentola per gli spaghetti o le linguine come uno preferisce e quando sono cotti, usando un forchettone, li metti nel sugo che sta finendo di cuocere.

Vedrai che bontà. Buon appetito con la pasta alla puttanesca.

Posso garantire che non è tutto oro quello che riluce

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Il desiderio delle donne italiane è di vestire bene, essere sempre elegante e impeccabile, profumate, la pelle sempre idratata, specialmente quella del viso e le braccia? Come si dice: “braccia lisce e schiena sexy”. Vi confesso che io ero diventata schiava di questo benessere, amavo vestirmi sempre alla moda, compravo tutti i capi di seta, anche il pigiama doveva essere di seta, mi piaceva sentire sulla pelle quella morbidezza he solo la seta pura ti può dare. Mi coccolavo e mi sentivo importante. Usavo le migliori creme per il corpo, i migliori centri di bellezza erano la mia passione. Mi piaceva essere sempre bella e profumata e mi accorgevo che diventavo ogni giorno più egoista, non parliamo poi della palestra che frequentavo quattro volte la settimana, e gli integratori vitaminici: non pensavo ad altro, solo a me stessa, il mio benessere e la mia persona.

Anche la compagnia che frequentavo non era meglio di me, donne della mia età che pensavano solo a farsi belle, ad avere un bel fisico, ricordo che non si parlava d’altro. Poi la sera, tutte insieme, andavamo in discoteca, come delle ragazzine, a ballare e bere, stavamo insieme a ragazzi dimenticandoci della differenza d’età, però ci pareva di divertirci tanto. Era tutta un’illusione?

Sì, la vita vera è diversa. Me ne sono accorta qui, a San Vittore dove sto da quasi tre anni. In carcere si può vivere con poche cose, quelle necessarie. Qui ti accorgi di avere tanto sprecato, di non aver dato valore a niente e di cominciare a riflettere, cosa che prima non avevo mai fatto. Per esempio: prima, quando camminavo nei prati non mi importava di calpestare le margherite perché la mia casa era piena di fiori, rose, orchidee ecc. Adesso, vedendo una margherita, la raccoglierei, la porterei in cella e me la coccolerei per non farla appassire, per farla durare di più. Poi, una volta appassita la metterei in mezzo a un libro per tenerla con me e guardarla di tanto in tanto.

Ecco i vecchi proverbi hanno sempre ragione: cominci ad apprezzare le cose quando le perdi. A San Vittore ho incominciato ad amare i doni che la vita mi aveva dato.

Ferie a San Vittore

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E anche quest’anno mi faccio le mie vacanze qui a San Vittore, mentre corrono tutti affannati in fila in autostrada e ai caselli per raggiungere le stesse mete, vuoi al mare, in montagna ecc.

La mattina mi sveglio, mi faccio il mio caffè, vado a berlo fuori all’aria con il mio giornale in mano; mi siedo e lo sorseggio mentre leggo tranquilla, poi inizia la giornata con il giro nelle celle invitando le mie colleghe a venire fuori a prendere il sole, ci mettiamo sulle sedie sdraio, ci cospargiamo di crema abbronzante e, ogni tanto, ci bagniamo con la canna immaginando di essere al mare, che bello! Alle 11.30 ci chiamano per il pranzo, carrello, cameriere, per menù quello che passa il governo: zuppa bollente anche se ci sono quaranta gradi, ma noi siamo felici lo stesso, immaginiamo che sopra quel carrello ci siano astice, caviale, ostriche e champagne. Al pomeriggio c’è qualche ragazza romena che ci presenta uno spettacolo di danza, ballano benissimo, così, tra una risata e l’altra passano le giornate. Ogni tanto di pomeriggio giochiamo a carte, briscola o scala quaranta.

È arrivato Ferragosto: tutte insieme fuori all’aria, con pizza, dolci e bevande di tutti i tipi e musica, sudamericana, molto bella; sembrava di essere in spiaggia, abbiamo fatto tanti giochi e perfino un concorso per Miss San Vittore: È stata eletta una ragazza stupenda: altezza un metro e cinquanta, larghezza… una cifra, insomma, uno spasso.

Ho anche iniziato la fisioterapia e tutti i giorni alle ore 14.30 con i miei autisti personali e le mie guardie del corpo, armate per la mia protezione, mi portano all’Ospedale San Carlo, un centro benessere dove la mia fisiatra mi fa un massaggio favoloso per un’ora, fantastico! Un sollievo che vi lascio immaginare. Che cosa desiderare di più a San Vittore?

Amore a Positano

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Vorrei raccontarvi una storia che mi è capitata anni fa. Era il mese di agosto ed io ero in ferie in un posto di mare della costiera amalfitana, bellissimo, Positano, mare pulito, spiagge incantate, bellezza tutta intorno. Vado sempre lì a passare le mie vacanze. Quell’anno, un giorno, tornata in albergo dal mare e fatta una doccia, mi ero messa un vestitino di lino blu, sandali bianchi alla schiava, che si trovano solo a Positano e a me sembrano molto belli, camminavo per quelle stradine, salivo e scendevo per i gradini inebriata dai profumi meravigliosi di quella terra: limoni cedri, arance, ma soprattutto dal profumo del mare, quella brezza marina che ogni tanto ti sfiora la pelle. Solo chi ci è stato può capire quanta allegria, vita, musica trasmetta questo posto, con i suoi bar e ristoranti pieni di gente. Mi trovo a un certo punto davanti a un negozio di antiquariato, che esponeva dei quadri che mi sembravano molto belli, io sono appassionata di mobili e oggetti di antiquariato; il negozio era chiuso, ma avevo notato in vetrina un quadro che mi piaceva. Mi giro per chiedere a qualcuno gli orari d’apertura e vedo arrivare un uomo, abbronzato, con due occhi azzurri come il mare, indossava un paio di jeans, una camicia aperta che mostrava i pettorali scolpiti, aveva il passo di un lupo che si avvicina alla sua preda, era il proprietario. Mi fa entrare nel negozio, mi fa sedere e mi offre una sigaretta mentre discutiamo del quadro che mi interessava. Il cuore mi batteva forte, ma cerco di tenere un atteggiamento dignitoso, gli lascio il numero di cellulare e gli dico che ritorno il giorno dopo. Esco e ripenso al suo bel viso, al suo fisico da atleta, torno a casa, ma il pensiero di lui non mi abbandona, neppure a letto, mi giro e mi rigiro senza prendere sonno.

Il mattino dopo, faccio le solite cose, scendo al mare, faccio il bagno, prendo il sole, torno a casa, doccia e poi indosso bianchi pantaloni attillati alla pescatora, camicia nera con i primi bottoni slacciati a mostrare un po’ del mio seno procace, sandali dai tacchi a spillo, capelli biondi sciolti sulle spalle dall’abbronzatura dorata, un leggero filo di trucco, matita marrone, mascara e un lucida labbra color corallo, con tanta voglia di conquistare quell’uomo bellissimo, quasi un’ossessione. Ero molto sicura di me, preparata al successo, camminavo verso il suo negozio a passi spediti, ma con il cuore in gola. Lui era lì che mi aspettava, mi ha baciato sulle guance e mi ha incartato il quadro che avevo comprato. Stavo per andare via, ma il mio istinto, noi donne non sbagliamo quasi mai, mi diceva che qualcosa sarebbe successo, infatti mi ha attirato verso di lui e ha incominciato a baciarmi facendomi quasi svenire. Rispondevo ai suoi baci con passione  e chissà cosa sarebbe successo se non fosse entrato un cliente. Ci siamo accordati per la cena, alle otto della sera stessa. Mi preparo con cura e lui arriva a prendermi in albergo. Scendo e salgo in automobile mentre mi tiene aperta la portiera, un gesto da vero gentiluomo, e poi via in macchina sulla costiera. Abbiamo parlato di tutto e riso molto e, tra una battuta di spirito e l’altra, siamo arrivati al ristorante sul mare. C’era la luna piena, i tavoli erano preparati con tovaglie verdi e candele, il cibo squisito e il vino ottimo, cosa si può volere di più? Arriva il momento fatidico, mi prende la mano fra le sue e mi dice che ha tanta voglia di fare l’amore con me, e io? Non sapevo cosa rispondere, era la prima volta nella vita che perdevo la testa per uno sconosciuto, e gli dico che per me era strano, che non sapevo, ma capivo che urgeva una decisione. Lo guardo negli occhi che erano, se possibile, ancora più innamorati e gli rispondo di sì.

A passi malfermi, avevamo entrambi bevuto molto, raggiungiamo la macchina e scendiamo sulla spiaggia a camminare a piedi nudi, baciandoci ripetutamente fino a quando non cadiamo sulla sabbia e facciamo l’amore. Era la prima volta per me, il rumore delle onde, quel corpo sopra il mio, i suoi baci caldi mi hanno fatta sentire in paradiso. Sono tornata a casa tutta ricoperta di sabbia e felice. La sera dopo ancora, lui è venuto in albergo portando una bottiglia di champagne e certi dolcetti che fanno solo da quelle parti: babà, sfogliatelle e dei dolci al limone, una vera prelibatezza, un dono più gradito di qualsiasi altro, e abbiamo passato la notte insieme.

Così ha avuto inizio la mia storia d’amore che è durata per un certo tempo, poi, vuoi per la lontananza, vuoi per il fatto che lui era sposato e non se la sentiva di divorziare, ho dovuto lasciarlo. Non ero davvero il tipo da accettare il ruolo di amante a vita.

È stata dura, però, non so come ho avuto la forza. Ancora adesso, dopo tanti anni, quando penso a lui, mi batte forte il cuore. Forse non se lo merita perché non ha avuto il coraggio di abbandonare la sua famiglia. So solo che ogni volta che vado a Positano, passo davanti al suo negozio, sento come venirmi meno le forze, ma non l’ho mai più visto, lui per me è solo un bellissimo ricordo d’amore.

Emozioni di una nascita

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Ciao, mi chiamo Cristina, ho sei figli e quindici nipoti che amo tanto, penso che tutti i nonni amino tanto i loro nipoti, come e più dei figli; ogni volta che nasce un nipotino è un’emozione bellissima, solo chi l’ha provata può capirmi. In particolare mi ricordo di una nascita, era inverno, novembre, io ero già a letto verso le dieci di sera, mi telefona il compagno della mia figlia minore che doveva partorire e mi avvisa che ci siamo.

Mi vesto rapidamente e li raggiungo all’ospedale, che non era molto lontano da casa, erano già arrivati, mia figlia aveva sul volto i segni del travaglio del parto. L’ho abbracciata, le ho detto di stare tranquilla – io non lo ero per niente, mi sembrava di soffrire come e più di lei – e l’ho accompagnata in sala parto, dove non sono potuta entrare, ma il suo compagno era con lei. Dopo aver verificato che era ancora presto, la hanno ricoverata in una stanza dove era monitorata e controllata, sia lei che il bambino. Io le stavo vicino e anche il compagno, ma sapete come sono gli uomini, ogni tanto mia figlia lo mandava via dicendo che le dava fastidio, poi lui tornava e dopo poco tempo se ne andava. Con questo andirivieni è passata la notte e siamo arrivati alle 5 del mattino: i dolori si erano fatti molto forti, a quel punto entra l’ostetrica e dice che si può procedere. In sala parto mia figlia non vuole il suo uomo, ma la sua mamma, figuratevi io! Mi preparano e entro proprio quando sta nascendo la bambina, mio Dio, che emozione! Che fare, piangere o ridere, mia figlia urlava, l’ostetrica le diceva di spingere e poi finalmente la bambina si fa strada nel mondo, era violacea, legano il cordone ombelicale e la lavano e la pesano: 3 chili. Dopo essermi assicurata che mia figlia stava bene, mi piazzo di fianco alla nipotina, a mano a mano che passavano i minuti diventava sempre più bella, il colorito di rosa pesca, i capelli biondi e quando ha aperto gli occhi, avevano il colore del cielo.

L’ho presa in braccio e l’ho portata a mia figlia e, mentre le guardavo, ringraziavo Dio che la bambina fosse perfetta e così bella. A tutti i nonni un consiglio: fate come me vi resterà un ricordo meraviglioso e indimenticabile.