Bellissimo articolo sui quartieri di Barbara Stefanelli (Corriere della Sera)

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Riportiamo un passaggio importante dell’articolo di Barbara Stefanelli, vicedirettore del Corriere della Sera, uscito il 9 dicembre 2020, in cui parla del valore della vita di quartiere.

“….Le risposte alla crisi – alcune si riveleranno esaltanti, altre le proveremo e abbandoneremo perché saper rischiare sarà fondamentale – vanno esplorate in un 2021 di ascolto e di innovazione, spalancato sulla condivisione. Sull’amicizia, avrebbe consigliato il cardinal Martini. Ricominciamo da quanto ci ha tenuti insieme, ricominciamo dalle persone che fanno le città. Abbiamo riscoperto, per esempio, il valore della vita di quartiere, dove tutto è prossimo, più facile e confortante. Il quartiere come «local home». Anche questo è un segmento prezioso mentre rimettiamo insieme i pezzi. Ed è nei quartieri che vanno studiate soluzioni perché le giovani coppie non abbandonino il centro metropolitano. Studiare format abitativi accessibili dal punto di vista economico adesso è una priorità. I progetti di spazi privati con aree comuni che assorbono alcuni servizi, dalle lavanderie ai freezer, sono maturi anche a Milano. Dobbiamo sostenerli, raccontarli, ampliarli. Perché una città che guardi avanti ha bisogno dei bambini nei cortili, nei giardini pubblici, nei musei. Negli asili nido.

Sicuramente la promessa di futuro non passerà dalle famiglie se resteranno asserragliate dentro gli appartamenti, ciascuno – quando è possibile – incatenato a uno schermo. I ragazzi devono poter tornare stabilmente a scuola, magari «occupando» aree da creare nei teatri, nei cinema, nei parchi; i genitori devono poter tornare negli uffici, magari forti di un’interpretazione più flessibile degli orari e dei luoghi, con progetti ancorati al merito dei risultati. Ma senza fingere che le forme di homeworking nelle quali siamo stati costretti a rifugiarci siano smart. È un’illusione di modernità, una trappola individuale e collettiva. Non restiamo connessi e isolati un minuto più del necessario, piuttosto trasformiamo il posto di lavoro perché rompa gli schemi tradizionali e assecondi nuove abitudini o cerchiamo aree di coworking se siamo lavoratori singoli. Non arrendiamoci alla routine di giornate trascorse in solitudine, come se fosse un dono insperato della pandemia. Le tecnologie portano sì rivoluzioni, ma questa è una reazione pericolosa che separa le persone e richiude le donne in casa. Ne usciremo peggiori, ancora più confusi, prede ideali del rancore.

Finora abbiamo fatto fatica ad alzare lo sguardo, giustamente incollati alle emergenze quotidiane, alla parabola dei numeri e ai colori mutanti delle zone di appartenenza. Il momento di unire le idee, le risorse, le forze, il momento di pensare/costruire il cambiamento è però arrivato. Tocca alle istituzioni, alle imprese piccole e non piccole, alle grandi fondazioni e alle associazioni del volontariato, ai privati cittadini. Il senso di una comunità coraggiosa e generosa, racchiuso in quella citazione che ci ha sorpresi a sorridere durante il discorso in Bocconi della presidente europea Ursula von der Leyen («Milan l’è on gran Milan»), non può finire in standby . La nostra identità ha bisogno di una riflessione, altrimenti si rivelerà presto fragile.
Il capitale – umano, sociale, culturale – di un’altra stagione per Milano siamo noi.

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