QT8, Quartiere sperimentale dell’ottava Triennale di Milano (2)

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“Le tipologie architettoniche, i metodi costruttivi, le soluzioni d’arredo e una nuova felicità della vita per i suoi abitanti”. … Il progetto originale risulta incompiuto:si sente l’assenza della Casa collettiva, la Casa Giardino e la Casa a piccoli alloggi, che Gio Ponti voleva destinare “agli artisti e particolarmente agli studenti di architettura”. (scritti della Triennale) … La solidarietà corporativa degli interessi è prevalsa sulla solidarietà nazionale. (Piero Bottoni)

Il piano edilizio del QT8 prevedeva un sistema urbanistico in cui la vita umana era organizzata in modo completo e costruttivo:“l’abitare”, pur rispettando libertà e tipicità individuali, partiva dall’intimità della casa per aprirsi alla comunicazione tra individui, famiglie e società. Il profilo tecnico di un quartiere plasmava una forma sociale, fatta di intelletto, emozioni e sentimenti; scandita dal lavoro, dal riposo, dalla creatività e dalla contemplazione. Al QT8 erano presenti le condizioni urbanistiche ideali per l’architettura moderna e, per qualche caso, si sono realizzate opere di estremo interesse: i nuclei abitativi erano strettamente collegati a numerosi servizi: scuole, asili nido, edifici sanitari, commerciali, di culto e di svago, campi gioco, parchi e orti e giardini. Le abitazioni avevano tipologie diverse: isolate, binate, a quattro piani e due palazzi alti 30 metri”. “Il quartiere ha mantenuto una qualità ambientale in cui luce e spazi verdi entrano armonicamente a far parte dei diversi modelli edilizi, in un paesaggio di vivibilità individuale e collettiva. Scultura e decorazione si integrano alla residenza urbana”.

I primi edifici, fedeli alla dimensione architettonica sperimentale, sorgevano per assegnare un’abitazione ai reduci e ai senzatetto. Tornavano a casa le persone: padri, madri, fratelli, cittadini, accolti con umanità, rispetto e pace.

Il Villaggio della Madre e del Fanciullo, http://www.villaggiodellamadre.org, è una storica organizzazione, di grande valore sociale nell’ambito materno-infantile.

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Elda Scarzella Mazzocchi, un nome da ricordare sempre, aveva fondato il Villaggio per tutelare i diritti e la dignità della maternità e dell’infanzia. Con i primi interventi di solidarietà, alla fine della guerra, furono ricevute le madri di ritorno dai campi di concentramento con i loro bimbi. Subito dopo, si sviluppò il lavoro di cura e di assistenza alle madri nubili, troppo spesso respinte dalla società e rifiutate dalla propria famiglia. In tempi in cui i pregiudizi permettevano simili, ignoranti ingiustizie, Elda Scarzella ha dato centralità alla donna, alla madre: un significato sociale alla maternità.

La bella architettura, perfettamente inserita nel verde, decorata con quinte traforate di mattoni, a discreta protezione alla riservatezza dell’ambiente, è opera degli architetti Mella e Scarzella (figlio della fondatrice),1956-57. Sculture e rilievi in ceramica di Arnaldo Pomodoro e Bobo Piccoli.

L’ingresso alla mostra dell’ottava Triennale di Milano era sulla via dell’Ippodromo: una struttura triangolare, sorretta da tre pilastri, decorata con mosaici. Di fianco, un alto pannello sventolante tra due pali, con grafica di Albe Steiner e Max Huber. In un grande prato, a fianco della biglietteria, si potevano visitare alcuni prototipi di architettura straniera (Belgio e Finlandia), completamente arredati, di una modernità così avanzata che è facile ritrovarne ampie citazioni tra le avanguardie del design di oggi.

Il leone e l’asinello.

Intanto il tempo si arrotolava su stesso, come un topolino sulla ruota della sua gabbietta, e si divorava il presente. Tra alcune realizzazioni riuscite e l’indifferente mancanza di strutture essenziali, la crescita sociale era lasciata alla spontaneità del collettivo.

In quel campo d’erba e di terra battuta, si svolgeva molta parte della vita dei piccoli e dei ragazzi. C’era tutto quello che si poteva desiderare: lo spazio di un campo di calcio, organizzato primitivamente, un grande platano da scalare, il “fortino” tra i rovi, accessibile solo ai più grandicelli e grintosi. Femmine escluse. Un anno, su quell’angolo di terra, era passato anche il circo. La sera prima era stato annunciato e i bambini erano esaltati dalla gioia: “ci sarà il leone!”. Una piccola creativa era corsa a casa e, con i caran d’ache più gialli e ambrati, aveva disegnato un magnifico, fiero, leone. “Sarà proprio così, chissà come si chiama?”. Poi, si era addormentata. Al risveglio il leone altri non era che un timido e assonnato asinello grigio, con una cestina di caramelle sulla schiena. I palchi del circo si limitavano a un piccolo mezzo giro di sedute e, nell’arena, un impacciato clown raccontava una storia che, comunque, aveva fatto ridere tutti.

… continua

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