Una forma di pane

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Se dovessi scegliere da che cosa far rappresentare il nuovo tempo che arriva, sceglierei una forma di pane. Propenderei per la pasta dura, ha una forma movimentata, una crosta dura che fa da scudo a una pasta molto morbida, bianchissima; è un pane che si mantiene buono per diversi giorni e raggiunge punte sublimi, una volta raffermo, a pezzi in una tazza di caffelatte tiepido.
Sceglierei il pane perché è simbolico dell’essenziale che torna alla ribalta. Non più alimento di accompagnamento o decorativo, ma imprescindibile punto di partenza e centro della tavola. Preferirei la grande forma di pane agli eleganti solitari, per ridare senso al gesto di dividerlo con gli altri, godersi le spontanee complicità che sbocciano tra chi preferisce crosta o mollica e… utilizzarne gli avanzi per la prima colazione o per qualche piatto casereccio e saporito.
Il pane torneremo a comprarlo in panetteria, perché riacquisterà un senso il sapere che è fatto a mano da chi, con sapienza e passione, impasta a notte fonda ed ogni tanto a metà mattina appare nel suo negozio, affacciandosi dal retro, con la faccia stanca ma serena, tutto infarinato come il mugnaio delle favole, per vedere le facce di chi compra il suo pane.
Nella mia città i panettieri, che una volta si chiamavano prestinai, sono molto amati e i milanesi che hanno l’attitudine allo “scouting” sono disposti a fare accurate ricerche prima di trovare quello che, a loro insindacabile giudizio, sia “il pane più buono di Milano” (per un curioso miracolo di moltiplicazione il “pane più buono di Milano” risulta poi avere almeno un centinaio di indirizzi diversi sparsi per tutta la città). Michette, arabi, ciabatte, francesine, mantovane, cinesini, biovette, a ciascuno il suo, fragrante e profumato, nel sacchetto bianco o color paglia, che ai più fortunati viene consegnato caldo.
Qual è il vostro pane preferito? A cosa lo accompagnate? Siete anche voi della generazione: pane burro e zucchero?
 

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