STORIA DI PANCIA 9 – Tornando a casa

di

“A me la depressione post partum non verrà” rassicuravo Gian appena partorito. Infatti due giorni dopo ho passato il pomeriggio in bagno singhiozzando per i motivi più disparati: i dolori anzitutto, e poi come farò a casa, e la stanchezza, e ho finito i biscotti, e la fame nel mondo…
Non ho voglia di visite. Mi stancano e costringono ad essere pimpante. Voglio stare solo con Gian e con il bambino. Gian è disperato perché non ha ancora tenuto il bambino in braccio. Per fortuna il secondo giorno a una poppata si dimenticano di portarmelo e va a recuperarlo lui: ci mette tantissimo a tornare.
Stare in piedi mi fa una strana impressione: mi sento tutta sbilanciata e poi mi viene l’affanno, non mi sento più un muscolo e i punti mi tirano, cammino a passi piccoli piccoli e vorrei correre, sentirmi forte per il ritorno a casa.
Il terzo giorno è quello della dimissione (sarebbe più opportuno fossero 5 giorni, e un tempo era così, ma una legge ha deciso diversamente). Mi lavo, preparo la borsa, mi vesto, le adidas mi sembrano gli stivali delle sette leghe, i pantaloni sono vuoti. Dopo aver ascoltato le indicazioni del pediatra non torno più in camera a salutare perché non ne posso più di frignare. Vado a prendere il bambino: è tutta un’altra situazione. Non c’è più qualcuno che cura il bambino per me, adesso è tutto sotto la mia responsabilità, quando me lo mettono in braccio, tanto per cambiare scoppio a piangere. Gian arriva subito, carichiamo il bambino in macchina, io non so come stare seduta e non riesco a ragionare. Il traffico mi dà fastidio, continuo a dire a Gian di far veloce e andare piano… Cerco di concentrarmi e fare un piano sugli orari delle poppate e poi quelli delle medicine, ma faccio solo una gran confusione, me li devo scrivere e non capisco neanche così. E piango.
A casa, al primo pianto prolungato del bambino si scatena il panico: “Cosa avrà? Che facciamo? Chiama il Vic. Ma non è mica un pediatra. Sì ma ha due figli. Ma non potevamo pensarci prima. Chiama la Clara. Ma poverina è mezzanotte. CHIAMA LA CLARAAAAA.” E piango. La Clara dorme, ma suo marito mi spiega un sacco di trucchetti: mettilo nella carrozzina, tienilo a pancia in giù, dagli da mangiare tutte le volte che vuole, coraggio, buonanotte.” Richiama anche il Vic: “Non ti preoccupare -dice- è così solo per i primissimi anni…” Finalmente rido.
Gian dimostra un autocontrollo e una lucidità invidiabili, cederà solo qualche giorno dopo quando io comincio a riprendermi, ha perso 3 chili.
L’abitudine ad avere un bambino cresce, sempre più in fretta. Una notte in cui è particolarmente imbizzarrito me lo fascio col lenzuolo sulla pancia e dormiamo tutti e due benissimo. Capiamo che non ha bisogno solo di mangiare, ma altrettanto del contatto fisico con noi. Gian la notte percorre chilometri in casa ninnandolo. Passati quindici giorni sono in ufficio a salutare e poi a tagliarmi i capelli, dopo venti giorni io e il bambino balliamo un mambo appassionato, sembra divertirsi molto.
 

© Ludovica Amat, riproduzione vietata


 

7 pensieri su “STORIA DI PANCIA 9 – Tornando a casa

  1. gian.z

    Storia di pancia è la mia lettura preferita, vorrei arrivare alla storia di pancia 100, e ogni volta che clicco, apro subito, e mi intenerisco ,e solo dopo aver riletto due volte , vado oltre .Eppure sono maschiaccio dovrei sentirmi distaccato. .A meno di una gravidanza isterica non abbiamo speranze . A Ludovica una preghiera: vai avanti col primo anno, come in un seral, è troppo divertente. Anche se è capitato fortunatamente di viverlo simile anche a me ..ma è passato in fretta
    Dovrebbe leggerle il mio ragazzo , chè si è inaridito con le adolescenti e ancora dopo con le ragazze. grazie

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  2. ludovica amat

    cari traquilli, siete così carini.. la sindrome l’avevo scritta nella speranza fosse d’aiuto ad altre ragazze impacciate nella gravidanza quanto me, non pensavo sarebbe piaciuta anche agli uomini. e invece fu proprio un uomo a scegliere di pubblicarla e la cosa mi commosse molto, soprattutto quando lo conobbi e mi raccontò il perchè. per iscritto, perchè diventammo amici di penna. ora sandro non c’è più, se ne andò, volontariamente. io mi ero affezionata e l’avevo eletto mio m&ælig;stro di scrittura. mi arrabbiai molto per la sua decisione, che mi comunicò con un’ultima lettera, quella volta scritta a mano. così non scrissi più. poi ne provai una pena infinita, poi superai quel dolore ed ora ogni tanto sento che c’è, perchè mi scappa una frase come la scriverebbe lui. ora vado a cercarmi la sua prefazione e ve la riscrivo. per voi ragazzi

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  3. ludovica amat

    questa la prefazione di sandro gatti alla Storia di pancia (che si intitolava originariamente La sindrome della madonna) i motivi per cui consigliò come editor di pubblicare il libriccino al suo editore restano suoi, non gli fece editing se non per parole che si scontravano tra loro e qualche virgola a favore del ritmo, si stupì che le donne scrittrici non trattassero quasi mai questo tema. come per magia, ogni volta che mi è capitata di rileggerla, anche a distanza di 20 anni, alle ultime tre parole gli occhi si riempiono di lacrime. “Gli uomini hanno passato secoli ad accopparsi tra loro; specialmente i maschi perchè oltre alla destrezza ci voleva gran forza muscolare. Botte da orbi ad ogni occasione: era sopratutto così che si conquistavano le cose importanti, cioè la ricchezza, la fama e il pochissimo che rimaneva (donna compresa, per la quale si poteva ben fare una guerra). Ora, non si può davvero protestare che di femmine notevoli sia gremita la storia e codesta ce ne offre poche tracce: regine, maghe, sante martiri, una sublime p&œlig;tessa che guarda un po’ era omosessuale, mogli testardamente fedeli che si consumavano al telaio. In genere piuttosto belline; niente da dire; pure le sante. Sicché dagli oggi e dagli domani, un millennio dopo l’altro, il mondo è diventato così com’è: fatto dai maschi per i maschi. Evviva. Non funziona a meraviglia ma funziona. Non si può avere tutto e a qualcosa bisogna rinunciare. Per esempio. La donna, quando sente il primo vagito di suo figlio, le scoppia nel cuore un vero Inno alla Gioia

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