Archivio dell'autore: Redazione Quartieri Tranquilli

Giocare è un vostro diritto

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Giocare è un vostro diritto e, proprio per questo, il Parlamento Europeo ha istituito un Play Day, dedicato al gioco. Domenica 8 giugno si gioca alla Fabbrica del Vapore con Ciccio Pasticcio. Pepita Onlus e Assogiocattoli invitano tutti, basta che adulti e bambini giochino insieme. Dalle 11 alle 18 in via Procaccini, 4. Tutto gratis.

 

Primo Premio Concorso Martinotti: Il bosco in città

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Cominciamo oggi a pubblicare i lavori dei tre vincitori del Premio Martinotti. Il bosco in città è stato realizzato da Giulia Carrarini Davide Gangale Carlo Marsilli Giorgia Wizemann, studenti del Master di giornalismo Walter Tobagi dell’Università di Milano.

Lo sviluppo non deve andare contro la felicità, deve essere a favore della felicità umana, dell’amore sulla terra, delle relazioni umane, della cura dei figli, dell’avere amici, dell’avere l’indispensabile. Proprio perché questo è il tesoro più importante che abbiamo, quando lottiamo per l’ambiente, il primo elemento dell’ambiente si chiama: la felicità umana.

(dal discorso del Presidente dell’Uruguay José Mujica alla Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile Rio+20, 21 giugno 2012)

Noi vediamo la città fisica e non quella sociale. Ma la città fisica è il prodotto della città sociale, senza la quale non esisterebbe.

(Guido Martinotti)

Il bosco in città

«Lavorando qua la depressione è svanita, perché mi dedico a quello che faccio e non ai brutti pensieri. Per me è l’ideale, dovrebbe esserlo anche per gli altri». Ogni mattina Stefano si prepara un caffè ed esce di casa. A lavorare, lui, ci va a piedi. E la giornata la passa all’aria aperta.

Stefano è un utente dei servizi di salute mentale dell’ospedale Niguarda. Dopo la nascita dei suoi figli, ha sofferto di una forte depressione: per dieci anni si è rintanato in una stanza buia, rifiutando ogni forma di contatto con il mondo esterno. Grazie all’insistenza dei suoi cari, alla fine ha accettato di andare in terapia. Ora coltiva la terra e semina zucchine e pomodori.

Stefano non vive in campagna, ma a Milano. Ad Affori, per la precisione, periferia nord della città. Gli orti di cui si prende cura sono quelli del Giardino degli aromi, un’associazione nata nel 2003 negli spazi dell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini, con lo scopo di reinserire nella società persone con problemi mentali. Un’organizzazione che ha scelto gli spazi verdi come unica medicina per i propri utenti. Perché «il recupero di un rapporto diretto con il mondo naturale urbano aiuta a ritrovare un equilibrio di pensiero e un ritmo biologico più sereno». La medesima filosofia è alla base delle attività delle altre 13 associazioni che operano nei padiglioni dell’ex manicomio.

È nel decennio a cavallo tra gli anni ’20 e ’30 del secolo scorso che prende forma l’area del Paolo Pini. Tre ettari di verde, distanti dalla Milano urbanizzata e chiusi al mondo esterno da una cinta di mura: una vera e propria cittadella nella città. Una scelta – quella di tenere i “matti” isolati dalle “persone normali” – in linea con i pregiudizi e le credenze del tempo, avvalorate anche da una scienza medica che faceva della reclusione il suo primo precetto. L’attività del Pini prosegue a pieno ritmo fino agli anni ’80, quando la legge Basaglia la interrompe gradualmente. Nel 1986 la Regione Lombardia approva un piano di riconversione della struttura, completato due anni dopo: l’ex nosocomio è trasformato in polo psichiatrico aperto. Intanto Affori è cresciuta, da sobborgo industriale circondato da campi a quartiere periferico ma vivace.

L’eredità medico-terapeutica del Paolo Pini passa nelle mani dell’ospedale Niguarda. Ma dei pazienti iniziano a prendersi cura anche alcune associazioni, che negli spazi dell’ospedale proseguono una sua antica attività: l’agroterapia. Già all’epoca del manicomio, i malati erano impegnati nella coltivazione della terra: un’occupazione che permetteva loro di passare il tempo e ritrovare il contatto con la natura. Ogni giorno i degenti erano accompagnati da infermieri e contadini al di là del muro di cinta: proprio lì si estendevano sette ettari coltivati a grano. Fino agli anni ’70, quando l’area venne trasformata in un pioppeto. Da qui il nome Parco Pop, con cui quei sette ettari sono conosciuti ancora oggi. I pioppi, però, non ci sono più: alcuni anni fa l’area è stata disboscata e abbandonata a sé stessa. Ma la natura è stata più forte: lo spazio si è spontaneamente rinaturalizzato, dando vita così a un bosco radura.

Tutto questo – edifici, terreni, campi – è sempre stato proprietà della Provincia di Milano. E le cose non sono cambiate con la chiusura del nosocomio. Se per anni la presenza delle associazioni, con tutte le loro attività, è stata accolta e incentivata dall’amministrazione, nell’ottobre 2012 il nuovo piano di governo del territorio mette in discussione la natura dello spazio. L’ente intende vendere l’intera area del Parco Pop a privati con lo scopo di «soddisfare il bisogno abitativo locale riferito alle fasce più deboli della popolazione». In altri termini, costruire un complesso residenziale destinato all’housing sociale. Le associazioni non ci stanno: «soltanto il 10 per cento delle abitazioni avrà in realtà questa destinazione», denunciano. E il cemento prenderà il posto di uno dei polmoni verdi della città: per la Provincia, una distesa senza più alcuna funzione; per le associazioni (e non solo), un luogo da preservare per la sua storia e per il suo valore, non soltanto naturalistico ma soprattutto sociale.

«Questo non è un posto vuoto». Sara Costello, presidente del Giardino degli aromi, ha dato inizio a una battaglia che ha messo insieme abitanti del quartiere, utenti dell’ex Pini e frequentatori del parco. Una battaglia che, nella sua fase iniziale, ha usato l’arma più semplice e spontanea quando quello da difendere è un bene comune: la raccolta delle firme. Dal parroco al giornalaio, dai commercianti ai pendolari, in nove mesi 23 mila persone hanno sottoscritto l’appello lanciato da Seminatori di urbanità, un comitato costituitosi per l’occasione.

Accanto alla gente comune, si sono uniti a questa battaglia anche molti professionisti: urbanisti, agronomi e architetti pronti a difendere con tenacia una realtà unica sotto molteplici punti di vista. Francesca Neonato, agronoma specializzata in architettura del paesaggio e nella progettazione di giardini terapeutici, ha seguito la vicenda da vicino e ne ha fatto un caso di studio: «La cosa importante che sta anche alla base della mia ricerca è la presenza di una comunità che ha fatto rete. E che lo ha fatto grazie all’esistenza di una serie di attività dal forte potere aggregativo: presupposto inalienabile di qualsiasi iniziativa di successo». Il contributo dell’esperta si è tradotto nella formulazione di ragioni oggettive riguardo alla salvaguardia dello spazio: «Ho fatto capire ai Seminatori di urbanità che per contrastare il progetto della Provincia servivano motivazioni che andassero oltre l’attaccamento affettivo all’area. Abbiamo iniziato a ragionare come i signori dell’economia e abbiamo dato un valore economico a questo patrimonio naturalistico».

817 alberi di 40 specie diverse e 23 tipi di uccelli: sono questi i numeri del doppio censimento – l’uno naturalistico, l’altro faunistico – del Parco Pop, un raro esempio di biodiversità in città. La mappatura non sarebbe stata possibile senza il contributo di numerosi volontari: tante persone che, ancora una volta, hanno messo insieme le loro forze per difendere un angolo prezioso del proprio quartiere. I dati raccolti sono serviti per dimostrare che l’area ha anche un prezzo: più di 4 milioni di euro, tra valore ornamentale, valutazione dei servizi ecosistemici, quantificazione della massa legnosa e dell’anidride carbonica.

Il 3 giugno 2013 i Seminatori di urbanità hanno consegnato al Comune di Milano le 23mila firme contro il progetto edilizio della Provincia, mentre l’Assessorato all’Urbanistica presentava al ministero dei Beni culturali la richiesta di vincolo paesaggistico sull’area. L’iter è ancora in corso, ma la comunità è fiduciosa: le fondamenta dell’esperienza di socialità che si è creata intorno al Parco Pop sono più solide di qualsiasi palazzina. «Di giardini condominiali, a Milano, ne abbiamo tanti, forse anche troppi», ricorda Neonato. «Di Parco Pop ne abbiamo uno solo».

Giulia Carrarini Davide Gangale Carlo Marsilli Giorgia Wizemann 

Ecco i vincitori!

Ecco i tre vincitori ex aequo del Concorso Martinotti. In premio, una borsa di studio di 1500 euro della Fondazione Cariplo e un passaggio sul Corriere della Sera, la Repubblica e TeleLombardia. Sul nostro sito di Quartieri Tranquilli nelle prossime settimane troverete i lavori di tutti i concorrenti.

ASSEGNAZIONE DEL 1° PREMIO 2014

21 maggio 2014 – URBAN CENTER DEL COMUNE DI MILANO – Galleria Vittorio Emanuele
scuola di giornalismo Univ. Cattolica
premio assegnato all’opera “A CENA SOTTO LE STELLE”
di Michele Alinovi – Martina Carnovale – Giuseppe Francaviglia – Andrea Prada Bianchi e Francesco Zaffarano
scuola di giornalismo “W:Tobagi” Univ. Statale
premio assegnato all’opera “IL BOSCO IN CITTA'”
di Wizemann Giorgia – Giulia Carrarinbi – Davide Gangale e Carlo Marsili
scuola di giornalismo Univ. Cattolica
premio assegnato all’opera “A CENA SOTTO LE STELLE”
di Michele Alinovi – Martina Carnovale – Giuseppe Francaviglia – Andrea Prada Bianchi e Francesco Zaffarano

1°PREMIO GUIDO MARTINOTTI

Bando di concorso indetto dall’Associazione no profit Quartieri Tranquilli e con la collaborazione del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Milano-Bicocca

Per la prima volta a Milano nasce un concorso giornalistico per raccontare in forma di inchiesta multimediale la città. L’iniziativa, volta ad accrescere la conoscenza dell’area metropolitana e a favorire lo sviluppo delle iniziative spontanee nei quartieri a sostegno dei bisogni della comunità, nasce come evento ideato e organizzato da Quartieri Tranquilli e dal Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università Milano- Bicocca, che ha indagato per anni l’evoluzione del tessuto sociale cittadino.

Il premio che porta il nome di Guido Martinotti, uno dei grandi sociologi urbani contemporanei (a lungo docente e prorettore dell’Università di Milano-Bicocca e promotore della rinascita del quartiere come nuovo distretto culturale), sarà assegnato ai lavori più significativi degli allievi dei master di giornalismo cittadini. Gli studenti di Cattolica, Iulm e Statale si impegneranno in una ricerca sul territorio per scoprire e far conoscere l’anima solidale dei quartieri, vere cittadelle, rioni, borghi urbani dove ci si incontra, si condividono iniziative, si dà una mano a chi ne ha bisogno.

Milano, città contemporanea, aperta ai cambiamenti e alle naturali contraddizioni di tutti i grandi centri urbani, si scopre “paese” accogliente attraverso una rete solidale molto ricca di iniziative, per lo più sconosciute, portate avanti dai tanti volontari dei suoi quartieri.

Scopo del premio è la radiografia della ragnatela sociale tessuta dai cittadini, indagata con l’occhio critico, vigile e anticonvenzionale dello studente praticante di giornalismo. Trovare la chiave per scoprire e indagare il lato umano dei quartieri sarà il tema del concorso rivolto ai ragazzi che saranno liberi di esprimersi con le tecnologie oggi in uso in rete.

Tutte le opere previo accordo con gli autori potranno venire utilizzate a titolo gratuito a supporto delle attività istituzionali di Quartieri Tranquilli e del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università Milano-Bicocca a tal fine utilizzate per la pubblicazione sui siti e per altre iniziative di promozione e diffusione degli enti promotori.

Scarica il bando di partecipazione cliccando QUI

 

La Festa è solo rimandata…

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Cari amici della Barona, vi comunichiamo che la festa “Fiori e molto altro” in favore di Officina Salute Onlus di Sabato 18 e domenica 19 maggio è stata rimandata causa maltempo… vi terremo aggiornati!

Leggi tutti gli articoli in Barona.

Tieni il tempo

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Chi non lo indossa per non sentirsi succube del tempo e chi invece non può proprio farne a meno: l’orologio è uno di quegli accessori con cui si ha un rapporto di amore e odio, ma di cui non si può proprio fare a meno. E proprio per questo, per evitare che a prevalere sia l’odio verso questo utile accessorio, il nostro consiglio è di sceglierlo di forma insolita e soprattutto colorato: lo guarderete con piacere anche quando non sarà necessario!!

Declutterig: che cos’è?

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I vostri cassetti sono talmente pieni che non riuscite più a trovare nulla? Stessa cosa per il garage dove tra un po’ se continuate ad accumulare roba non riuscirete più a trovare neppure il posto per la macchina? Forse è proprio giunto il momento di buttare via le cose vecchie che non vi servono più e iniziare a fare un po’ di spazio.

Proprio per questo, gli inglesi e gli americani si sono inventati “il decluttering”, il cui significato è“togliere quello che ingombra” e lo “Space cleaner” che è invece l’arte di riorganizzare i propri spazi e di conseguenza anche la propria vita distaccandosi da tutta una serie di oggetti che ci legano troppo al passato magari ricordandoci eventi spiacevoli. E poi si sa, vivere in mezzo al disordine certo non ci facilita la vita.

LEGGI ANCHE: Rinnovare il proprio guardaroba, senza mettere mani al portafoglio

Rimettere in ordine eliminando tutto quello che non serve più ci permetterà di guadagnare tempo prezioso: pensate a tutto quello perso al mattino mentre cercate le chiavi di casa e non riuscite a trovarle, senza contare la preoccupazione che questa cosa genera in voi data anche la fretta.

Sicuramente, dopo aver fatto spazio noterete che vi sentirete subito meglio e di buonumore.

Ma liberarci di ciò che non ci serve più a volte può essere davvero difficile nonostante si tratti di oggetti ormai inutili ma che abbiamo con noi da troppo tempo per potercene liberare senza pensarci troppo.

 Ecco quindi alcuni semplici consigli per un decluttering perfetto:

Cercate di realizzare una sorta di piano delle stanze da cui partire e, a seconda del tempo a vostra disposizione, riordinatene una per volta. Potete scegliere se dedicare al decluttering mezz’ora al giorno o se fare tutto durante il fine settimana.

Una volta scelta la stanza, a poco a poco iniziate a svuotare i diversi cassetti passandopoi alla libreria, alla credenza o agli altri mobili.

Selezionate bene il materiale recuperato perché magari c’è qualcosa che è ancora possibile recuperare: abiti vecchi, accessori vintage che non vi piacciono più, oggetti per la casa. In tal caso potete provare a vendere tutto su internet o nei tanti mercatini dell’usato che trovate in giro per le vostre città. Assolutamente vietato spostare tutto in soffitta facendo in modo che la roba vecchia inizi a sommergere anche quello spazio. Ricordate che affinchè il decluttering abbia un senso è necessario che le cose da eliminare escano dalla vostra casa.

Per dividere al meglio i vari oggetti potete attrezzarvi con alcune scatole di cartone in cui suddividere le cose da buttare, quelle da regalare e quelle da avviare alla raccolta differenziata.

In alternativa, perché non provate invece ad organizzare uno swap party con le amiche?Chiedete anche a loro di portare le cose che non usano più ma che possono ancora essere utili, e scambiatele. Avrete così dato una seconda vita agli oggetti.

Se invece vi siete resi conto di aver accumulato molti libri, potreste provare a donarli alle biblioteche o alle sale pubbliche di lettura del vostro quartiere oppure, semplicemente, potete regalarli ai vostri amici e familiari.

Una volta che avete messo per bene in ordine tutto, per evitare che il caos si riappropri delle vostre stanze, evitate di portare a casa troppi giornali o cataloghi: dopo averli letti e sfogliati, buttateli.

Infine, se proprio non siete riusciti a liberarvi di alcune cose, allora datevi almeno una scadenza per buttarle via. Mettetele tutte in uno scatolone e se dopo qualche mese vi rendete conto che quella scatola non è più stata riaperta, buttate o regalate tutto senza pensarci su due volte.

Stress: i cinque miti da sfatare

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Un’agenda troppo piena di impegni al lavoro, i bambini e la casa da rimettere in ordine o i tanti libri da studiare per l’esame: qualunque sia il motivo scatenante, lo stress è sicuramente uno dei malesseri che tutti noi ci troviamo a dover fronteggiare in alcuni periodi.

Si tratta di un disturbo che influisce sia sul corpo che sulla mente con conseguenze sulla salute che vanno da un semplice mal di testa, una dermatite, problemi digestivi o insonnia fino ad arrivare, a seconda dei casi, anche a veri e propri disturbi alimentari.

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Sebbene si tratti di un male moderno sempre più diffuso e in grado di condizionare le nostre giornate è anche vero che intorno a esso circolano tante idee sbagliate.

Dana Becker, professoressa di social work al Bryn Mawr College nel suo libro intitolato “One Nation Under Stress: The Trouble With Stress as an Idea” ha cercato di chiarire alcuni falsi miti che ruotano attorno alla parola stress:

1) Dormire a sufficienza, fare esercizio e una dieta corretta possono ridurre lo stress

Secondo la dottoressa Becker, anche se prenderci cura di noi stessi può aiutarci a sentirci meglio, questo non lo ridurrà affatto se non cerchiamo di capire qual è la sua vera causa.

2) Lo stress rende le persone più vulnerabili alle malattie

Non è proprio così. Due psicologi, Suzanne Segerstrom e Gregorio Miller, dopo aver analizzato più di 300 studi sullo stress e sul funzionamento del sistema immunitario, sono giunti alla conclusione che quest’ultimo è in grado di gestire anche grandi quantità di stress senza portare l’individuo ad ammalarsi.


3) La maggior parte delle persone esposte a eventi traumatici sviluppa lo stress post-traumatico

La ricercatrice, dati alla mano, evidenzia che sebbene circa il 60 per cento degli adulti statunitensi dicano di aver avuto almeno un’esperienza traumatica, la prevalenza media di disturbo post-traumatico da stress è compresa tra il 6,8 per cento e il 7,8 per cento.

4) Gli uomini e le donne rispondono allo stress in modo diverso a causa delle differenze genetiche e ormonali

È più la differenza genetica a determinare un approccio differente allo stress  tra uomini e donne e sicuramente meno la differenza ormonale. Questo è però uno dei punti più controversi della ricerca della dottoressa Becker.

5) Se le donne imparano a gestire meglio lo stress, saranno in grado di risolvere i conflitti tra lavoro e famiglia

Secondo la ricercatrice statunitense, lavoro e famiglia non sono in conflitto, semmai sono il lavoro e le politiche sul lavoro, il lavoro e le limitate possibilità nella cura dei figli, ad essere in contrasto.

Comode e veloci

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Dicono che siano poco femminili. Dicono. Ma noi sappiamo che oltre ad essere comode sono anche facilmente abbinabili. E ci permettono di raggiungere comodamente chiunque ci stia aspettando. Fidanzato compreso. E se al nostro arrivo dovesse guardare le nostre ballerine con sopracciglio alzato la risposta è pronta: “Non volevo farti aspettare. Avevo fretta nel vederti e loro mi hanno aiutato a correre più velocemente verso di te”.

L’essenza del viola

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Il viola: un colore che indica mistero e magia. Proprio come la donna, misteriosa grazie alla sua femminilità e piena di magia per merito della sua eleganza. Con indosso un abito dalle linee sobrie, ma di un colore legato al potere e al prestigio, il risultato finale è un fascino senza eccesso.

Riparare: la nuova moda globale

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Riparare, e non essere costretti sempre e comunque a ricomprare. Come una valanga, alimentata anche dagli effetti della Grande Crisi, sta esplodendo nel mondo una nuova moda: riparare gli oggetti. Quando un computer, un cellulare, un elettrodomestico, non funzionano, siamo ormai abituati a sentirci dire sempre la stessa frase dal negoziante che lo ha venduto: “Le conviene comprarlo nuovo“. Una strada senza via d’uscita, dietro la quale si nasconde il trucco dello spreco e dell’acquisto compulsivo. Inutile. Adesso la tendenza è girata e grazie al volano della Rete si moltiplicano i luoghi dove è possibile aggiustare gli oggetti e non gettarli.

LEGGI ANCHE: La soluzione anticrisi? Aggiustare tutto

Nelle più importanti città americane si celebrano iFixers Collective: si tratta di raduni mensili, itineranti, dove è possibile presentarsi con un computer o un cellulare fuori uso e ripararlo. Stessa cosa avviene al Bower Reuse and Repair di Sidney. In Inghilterra, due soci, Janet Gunter e Ugo Vallauri, hannno creato un network nazionale ispirato al motto “Repair, dont’despair“. Ripara, non disperare. Anche in questo caso gli incontri sono itineranti, molto annunciati sul web e sulla stampa locale, ma i due soci hanno fatto un passo avanti rispetto al modello americano. Hanno creato un siuto www.thestartproject.org, dove annunciano tutte le loro iniziative nel Paese. Il prossimo traguardo sarà quello di trasformarlo in una vera piattaforma online che mette in collegamento luoghi e persone che si occupano di riparazioni. E in Italia? Anche da noi si moltiplicano le iniziative locali a favore delle riparazioni antispreco, e il sito che vi suggeriamo è www.iriparo.com che contiene una mappa geografica, regione per regione, con i punti ai quali rivolgersi per sistemare computer, telefonini e cellulari.

Lavorare senza stress nell’era del multitasking

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Ricevere continuamente mail e telefonate e scandire la giornata lavorativa a suon di riunioni certamente provoca stress e perdita di concentrazione. Del resto, per molti di noi i ritmi appena descritti rappresentano la prassi durante le ore che trascorriamo in ufficio. Abbiamo letto un interessante articolo sul sito thebizloft.com, molto utile per superare questo tipo di ostacoli.

Come combattere lo stress sul luogo di lavoro, soprattutto nell’era del multitasking? Ecco qualche semplice regola.

1. Ritagliatersi del tempo prezioso per se stessi, pianificando gli obiettivi quotidianamente e settimanalmente.

2. Livellare l’arrivo dei lavori: favorisce la fluidità e le prestazioni intellettuali. Lo stesso principio vale quando predisponiamo le nostre giornate, prevedendo delle pause sensate fra un’attività e l’altra.

3. Minimizzare la quantità delle attività in corso. Se diminuiamo il numero di attività su cui ci stiamo concentrando, nella singola porzione di tempo, sicuramente favoriremo non solo la fluidità, ma soprattutto il completamento delle attività stesse. In pratica dovrete sforzarvi di suddividere tutto in piccoli pezzi e muovervi sempre e a piccoli passi.

4. Ridurre le dimensioni delle attività. Il tempo medio che ogni persona può impegnare con la massima produttività intellettuale non supera i settantacinque minuti. Il consiglio? Suddividere, ad esempio, le proprie attività in blocchi della durata massima di un’ora, escludendo per quell’ora tutto il resto, ritrovando la capacità di concentrarsi su una sola cosa per volta. Le pause dovranno durare circa quindici minuti, per rigenerarsi e predisporsi a un altro blocco ad alta concentrazione.

5. Stabilire cadenze regolari nei team di lavoro. All’interno del team di lavoro cercate di far accadere quante più cose possibili in maniera routinaria, per combattere l’eccessiva variabilità degli input e degli output legati alle persone coinvolte in un progetto.

6. Pianificare risultati e non attività. Non basta introdurre momenti routinari in cui il team si incontrerà, ma è importante impostarli non soltanto per discutere o fare delle attività, ma per verificare i risultati intermedi delle singole attività.

7. Pull Planning. Ogni risorsa coinvolta nel progetto risponde ai bisogni dei propri clienti interni ed esterni e dovrebbe produrre solo ciò che gli viene richiesto, quando gli viene richiesto. Questo facilita la comunicazione e l’efficacia.

8. Evitare i sovraccarichi. Avere sempre sotto controllo il nostro livello di sovraccarico e quello dei nostri collaboratori, se vogliamo mantenere alte le prestazioni.

Un capo storico per le stagioni miti

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Più di un secolo di vita e non dimostralo. Il trench nasce per richiesta del Ministero della Guerra inglese ed era destinato all’esercito. Da necessità per ripararsi dalle intemperie e rivisitato in chiave femminile, si trasforma in capo essenziale delle stagioni miti. E indossarlo diventa anche storia. Perché la moda viene anche dal passato.