Tempo d’attesa…

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Questo articolo è tratto dal “Oltre gli Occhi“,  il giornale del reparto femminile di San Vittore arrivato al suo terzo numero, dove le detenute si raccontano, parlano di sé, delle loro speranze, del loro presente, del loro “futuro”.  Renata Discacciati è la coordinatrice editoriale del progetto e Simona Salta, la direttrice responsabile.

Tempo d’attesa di Stefania
Attendere, aspettare, qualcosa di normale che fa parte dei gesti quotidiani di una vita normale. A volte è una cosa che fa piacere, come quando da piccoli si aspetta con ansia il momento di scartare i regali, da adolescenti quando si aspetta il primo bacio, o i tanto attesi 18 anni; a volte è noiosa, come il fare le file interminabili in posta o in banca.
Beh, il carcere, e il sistema giudiziario sono l’emblema dell’attesa, e chi ci finisce in mezzo, deve armarsi di tanta, tantissima pazienza.
Quando si è fuori l’attesa può essere “gestita” in qualche modo, ingannando il tempo ascoltando musica, facendo qualche telefonata, insomma qualcosa che ti distragga il tempo sufficiente dell’attesa; anche in carcere funziona così, ma c’è una differenza enorme, e cioè che qui dentro l’attesa è infinita, quindi cerchi di fare qualunque cosa per far passare il tempo.

La settimana scorsa sono stata in tribunale per un’udienza, l’attesa era infinita più di un intera giornata in carcere, passeggiavo avanti e indietro studiando ogni centimetro del fellone del tribunale, ogni rumore, ogni parola detta dagli agenti di polizia penitenziaria riecheggiava intorno a me; sembra la parte peggiore, ma è niente in confronto al tipo di attesa che sto provando in questi giorni.

Attendo da ormai più di sei giorni una risposta dal tribunale che sembra non volere arrivare, passo le giornate cercando di fare qualunque cosa per occupare il tempo e non pensare, ma intanto quando suona il telefono sulla scrivania degli agenti, o sento urlare il mio cognome, per un istante il mio cuore si ferma. Attendo con ansia che qualcuno decida della mia vita, e non c’è niente di più brutto che aspettare qualcosa che non sai, può essere una risposta positiva o negativa, e non puoi far altro che aspettare.
Pagherei qualunque cifra in questo momento per tornare a provare quell’attesa quotidiana di cui mi sono sempre lamentata, perché almeno non dovevo attendere che le giornate finissero per poter dire a me stessa: “ok, un altro giorno è finito, un giorno in meno che ti separa dalla libertà”.

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